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Tiberia de Matteis Dopo lo straordinario successo di pubblico e di critica già avuto al Teatro Quirino e nella tournée nazionale, torna nella Capitale «I casi sono due» di Armando Curcio che vede come protagonista uno strepitoso Carlo Giuffr

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Decisoa rintracciare il suo unico figlio, generato un trentennio prima con una sciantosa, il nobile si rivolge all'aiuto dell'improbabile investigatore Sormani e finisce per scovarlo addirittura a casa sua, dove lavora come cuoco: si tratta di Gaetano Esposito, bugiardo matricolato e furbone patentato che viene improvvisamente elevato al rango di baronetto. Va detto come questo sia il personaggio che ispirò Peppino De Filippo per la creazione della maschera di Pappagone, premiato da un immenso successo nella trasmissione della Rai «Scala Reale» e qui incarnato da Ernesto Lama. L'agenzia poi dichiara di aver sbagliato e che il vero figlio è un altro, un dipendente statale di terzo livello un po' tonto, una sorta di robot che esegue tutto ciò che gli viene detto di fare. Il padre ha molti dubbi su chi sia realmente il suo erede, almeno fino a quando non scopre che l'agnizione decisiva sia possibile rintracciando una «voglia» sul sedere, individuata proprio nel cuoco. Tutto potrebbe terminare così, ma nel finale il superficiale cuoco sviluppa uno straordinario pensiero che, se pur in maniera leggera, affronta il tema della caducità della vita e della fortuna dell'uomo, inducendolo a prendere una decisione a sorpresa. L'atmosfera della rappresentazione, ambientata negli anni Quaranta, viene sottolineata dalle indimenticabili musiche di Bixio, trasmesse da una radio, elemento cardine del salotto, e curate da Francesco Giuffrè, figlio di Carlo, nonché dall'eleganza di scene e costumi firmati da Aldo Terlizzi. Il segreto dell'allestimento sta nelle convinzioni elaborate da un artista dalla collaudata carriera: «Anche le farse del teatro napoletano che recitavano i grandi della commedia dell'arte sono drammatiche perché sembrano leggere, ma in fondo sono amare: infatti parlano di freddo, di fame, di miseria e poi arriva il "lazzo" che alleggerisce il dramma» ha dichiarato Giuffrè. «Nella nostra tradizione teatrale non c'è la risata facile fin quando non arriva il guizzo di genio comico, che deve comparire al momento giusto. Un attimo prima o dopo e non si ride più». È un teatro vissuto dall'interno, sofferto in quel «gelo» di cui parlava Eduardo De Filippo eppure vitalissimo per quel calore speciale che contraddistingue l'universo partenopeo di tutti i tempi. Una memoria che si fa presente, un eterno umanissmo che è sempre attualità.

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