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Storie di fantasmi

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ChiaraRai Ombre senza volto, leggende di spettri che trovano dimora in antichi manieri, incontri ravvicinati inspiegabili e inquietanti. A due passi da Roma, il paesaggio dei Castelli Romani ha fatto da scenario a storie di fantasmi, divinità e spiriti di valorosi combattenti tramandate oralmente fino a giorni nostri. Chi si trovasse a passare di notte vicino al nobile Palazzo Sforza Cesarini a Genzano, dimora estiva del '600 di una storica famiglia genzanese, potrebbe fare amicizia con una fantasma dai lunghi capelli neri. «È una gentil donna morta giovane – racconta un anziano del posto – soffriva di solitudine e malinconia perché trascurata dal signore che l'aveva presa in sposa e la notte a volte si sente piangere e si vede una luce che cammina da una stanza all'altra del palazzo. Appena si fa giorno, si vedono volare due colombe in cielo». Chi vive a Genzano racconta questa storia come fosse un fatto vero e quasi dispiace parlare di leggenda quando il fantasma è ormai essere annoverato tra le bellezze del Palazzo. Se invece di una bella signora turbata dallo struggimento d'amore, si vuol vedere, e perché no tentare di conquistare, un bel principe azzurro senza cavallo bianco ma di dimensioni gigantesche, è a Castel Gandolfo che si deve andare. In via Gallerie di Sopra c'è la famosa dimora Barberini, che rientra nelle mura vaticane della sede estiva del Papa. «Nel 1895 il giovane principe Barberini morì a soli 21 anni – racconta Cristina Pacifici, amica di una signora che giura di aver avuto incontri ravvicinati col nobile fantasma – La famiglia del principe fece costruire la tomba nel parco della villa che si affaccia proprio sulla strada che confina con Albano». Cristina racconta che un giorno la sua cara amica, mentre percorreva la strada per tornare a casa, frenò l'automobile d'improvviso, perché si trovò dinnanzi un grande principe vestito di bianco, il quale altro non voleva che scambiare due chiacchiere con l'allora giovane e bella ragazza. «Peccato fosse solo un fantasma – sospira Cristina - altrimenti sarebbe stato il matrimonio del secolo». Chi invece desidera ardentemente un figlio è bene si rivolga a una divinità audace come Diana, dea della caccia, protettrice delle donne e simbolo di fertilità. Il suo tempio si trova sulle sponde del lago di Nemi dove ancor oggi vengono depositati fiori, collanine, fiocchi rosa e celesti in omaggio alla dea per ottenere la fertilità. Sempre a Nemi c'è chi racconta che alle tre della notte, attorno allo stadio di calcio, gloriosi gladiatori appaiano dall'oltretomba per combattere con possenti carri trainati da indomiti destrieri. Non è certo un mistero che nell'età del bronzo al posto dello stadio ci fosse un'arena dove i gladiatori si sfidavano in epici combattimenti. Ad Ariccia, invece, si narra che la dea Diana soccorra i perseguitati d'amore, come fece con Ippolito, figlio di Teseo re di Atene. Il primogenito del re greco si rifugiò nel fitto della selva ariccina per sfuggire alle ire della matrigna Fedra, invaghitasi della sua virilità. Diana permise a Ippolito di cambiare identità in Virbio, ma il suo destino fu quello di un dio minore sottomesso per l'eternità alle ferree regole del gentil sesso. E forse non è un caso che il ponte di Ariccia sia conosciuto come teatro di un alto numero di suicidi, spesso per tormentate vicende amorose.

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