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Racket delle baracche tra i nomadi Non paga e gli sequestrano il figlio

Polizia in azione

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Non volevano pagare il pizzo di 300 euro sulla baracca e allora avevano sequestrato il figlio di 18 mesi. Ancora una storia di racket tra rom romeni. Stavolta sulla Prenestina, nell'insediamento abusivo in via Severini, affollato da circa un centinaio di nomadi, a settembre già sgomberati da via Prenestina e da via De Chirico. Arrestata la donna del boss - T.N., 32 anni - trovata col bimbo rapito. Denunciato invece il capo, quarantenne, pizzicato dagli investigatori del Commissariato Prenestino di Fabrizio Falzoni dopo due giorni dal blitz nel campo irregolare. La storia è venuta fuori giovedì scorso. Il padre del bimbo, una ragazzo di 21 anni, si è presentato al Commissariato è ha messo tutto nero su bianco. Qualche settimana fa lui e la sua famiglia sono arrivati a Roma. Già sapeva dove andare. La meta era via Severini, dove c'erano altri della sua etnia e si sentiva un po' in famiglia. Quel campo però l'aveva scelto per una ragione ancora più importante. Un suo connazionale lasciava la baracca, quindi tutti e tre avevano un tetto sopra la testa. Prezzo da pagare: 40 euro. Una sorta di buonauscita. La brutta sorpresa è arrivata subito. Poche ore dopo che i tre si erano sistemati, il capo clan mette subito le cose in chiaro: «Mi devi pagara 300 euro». Lui si rifiuta e le cose precipitano. Il nuovo arrivato non solo prende le botte ma la donna del boss entra in baracca e sequestra il figlio di 18 mesi. «Se non paghi lo vendiamo». L'uomo non sa che fare, la moglie è in lacrime. Il sospetto degli investigatori è che in quel campo pagare il pizzo al capo è la regola, e non solo lì. Allora decide di denunciare il fatto. Gli agenti del commissario Falzoni non perdono tempo. Vanno al campo diretti nella baracca del capo. La donna se ne accorge e si disfa del bimbo lanciandolo a terra. I poliziotti soccorrono il bambino, per fortuna illeso, e arrestano la nomade per sequesro di persona. Il boss invece scappa. Gli investigatori lo riprendono sabato, quando tornano nel campo. Ma non c'è flagranza di reato: se la cava con una denuncia per estorsione.

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