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I ricercatori della Sapienza pronti a bloccare la didattica

La statua di Minerva, dea della Sapienza, all'ingresso dell'Università di Roma

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Sono giorni cruciali per i ricercatori a tempo indeterminato dell'Università La Sapienza (circa duemila su 4.800 docenti complessivi) che già in aprile avevano deciso di ritirare la loro disponibilità alla docenza per il prossimo anno accademico. È arrivato il tempo per confermare questa grave decisione che di fatto paralizzerebbe la didattica dell'ateneo. Così nelle varie facoltà si susseguono riunioni e incontri: un tentativo da parte dei presidi di trovare accordi che allontanino la minaccia. «Stanno cercando di far rientrare la protesta giocando sulla debolezza dei ricercatori meno protetti - dice un prof che vuole restare anonimo - In queste settimane bisogna chiudere l'offerta formativa. È un momento di stallo e c'è chi ne approfitta. Venerdì dopo l'assemblea nazionale dei ricercatori che si svolgerà qui alla Sapienza sapremo come agire». La situazione resta critica. La facoltà di Chimica, per esempio, ha bandito 400 corsi, il 20% è ancora scoperto. A Ingegneria è tutto come ad aprile con le cento lettere di altrettanti ricercatori fatte pervenire a rettore e preside con la non-disponibilità alla docenza. Al momento sono coperti il 55% dei crediti mentre il 45% non si sa come riempirlo. A Scienze Umanistiche trentasei ricercatori su settanta si sono resi indisponibili ma il numero potrebbe crescere. «Aspettiamo l'assemblea del 17 - dice una di loro - E poi magari cade pure il governo... Ma la protesta continua perché non è solo contro il ministro Gelmini né contro la Finanziaria straordinaria di Tremonti ma contro vent'anni di scelte sbagliate nei confronti dell'Università». I prof si sentono penalizzati dal ddl Gelmini in esame al Parlamento perché per loro «non prevede alcuna prospettiva di carriera (passaggio al ruolo di associato con relativo scatto economico), né la possibilità di venir valutati in base al merito». Invece il ddl Gelmini darebbe una corsia preferenziale ai nuovi ricercatori che dopo sei anni di contratto (3+3) possono diventare associati. Si prefigurerebbe, così, uno scontro generazionale da teatro dell'assurdo con i maestri che vengono scavalcati dagli allievi: «Impensabile lavorare in una situazione del genere. Se capitasse a me, l'ex allievo me lo mangerei. Non cerchiamo un'ope legis, siamo disposti a sacrifici economici come il congelamento temporaneo della ricostruzione della carriera» dice il ricercatore d'Ingegneria Oscar Ascenzi. Protestano pure i rettori, come Frati che minaccia le dimissioni contro i tagli. «I rettori temono il commissariamento - Finora hanno fatto le cicale. Potevano ottimizzare le risorse invece di elargire contratti a prof andati in pensione».

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