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I ricercatori vogliono bloccare la Sapienza

L'Università la Sapienza

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I ricercatori universitari a tempo indeterminato hanno dissotterrato l'ascia di guerra. Si sentono penalizzati dal ddl Gelmini in esame al Parlamento perché «non prevede in alcun modo il riconoscimento giuridico del nostro ruolo». In pratica alcuna prospettiva di carriera (passaggio al ruolo di associato con relativo scatto economico), nè la possibilità che il loro lavoro venga riconosciuto e valutato secondo il merito. Hanno deciso, così, di ritirare la disponibilità alla docenza per il prossimo anno accademico. Che tradotto in soldoni significa bloccare l'attività universitaria. Lo hanno comunicato ufficialmente, in questi giorni, ai Rettori e così il Miur è stato costretto a posticipare al 1° giugno la scadenza per la presentazione dell'offerta formativa. Nell'immediato è già scattata la non disponibilità a coprire le supplenze. La situazione è piuttosto grave alla Sapienza di Roma dove su 4.800 docenti più di 2000 sono ricercatori. Che con compensi minimi (lo stipendio base è 1200 euro, solo dopo 15 anni di anzianità si può arrivare a 2000 euro) svolgono in tutto e per tutto l'attività di Ordinari. «Questi duemila docenti - spiega Bartolomeo Azzaro di Architettura e prorettore - non hanno prospettive, si trovano in un vicolo cieco. Noi non vogliamo un'ope legis, sia chiaro. Chiediamo il riconoscimento del merito, dove c'è. Non è una questione sindacale ma di dignità professionale. Invece il ddl Gelmini dà una strada preferenziale per diventare associati ai nuovi ricercatori prefigurando uno scontro generazionale». Ma cosa succederà se non si troverà, a breve, una soluzione (oggi il coordinamento nazionale ricercatori s'incontra con De Cleva presidente della Crui)? La paralisi della didattica in quelle facoltà dove la metà (e oltre) dei corsi è coperta da ricercatori. «Da noi a Ingegneria - spiega Luca Podestà - siamo 151 ricercatori, il 95% tiene corsi, in pratica il 40% dei docenti». Nessuno di voi ha dato la sua disponibilità? «Quasi tutti. Io ho un corso di 100 ore con circa 250 studenti. Poi ci sono le attività collegate, gli esami, i ricevimenti e le tesi. È un esame fondamentale». Potrebbero sostituirla con un esterno? «Non ci sono i soldi per fare contratti esterni. Semplicemente non partirà il corso di laurea». Situazione critica anche a Chimica: «Venticique ricercatori su 35 indisponibili: non ci sono i numeri per aprire il corso di laurea di chimica industriale» spiega Marco Petrangeli. Non stanno meglio a Psicologia, Lettere, Fisica ecc. Nessun problema a Giurisprudenza: lì i corsi sono tenuti solo da ordinari. Che spesso sono impegnati fuori (studi professionali, attività politica) e allora li chiudono. E pensare che il Senato Accademico della Sapienza, unico in Italia, ha approvato uno Statuto rivoluzionario che valorizza il ruolo dei ricercatori e il loro merito sottolineando come «siano al pari degli altri docenti». Ora sperano che se ne accorgano pure i politici.

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