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Cucchi rianimato quando era morto

Stefano Cucchi, il ragazzo morto a Roma dopo l'arresto, insieme alla madre

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Non è morto per le lesioni, ma per disidratazione. E quando i medici hanno tentato di rianimarlo era troppo tardi, era già deceduto. E le condizioni di Stefano Cucchi non sono state monitorate costantemente il giorno precedente al decesso. È la conclusione alla quale sono arrivati i consulenti tecnici della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale che hanno esaminato il caso del ragazzo deceduto il 22 ottobre scorso all'ospedale Sandro Pertini dopo una settimana di agonia. Nella relazione viene sottolineato come la disidratazione ha portato a un'eccessiva perdita di peso del detenuto: dieci chili in sei giorni. Il presidente della commissione parlamentare, Ignazio Marino, è andato anche oltre, sostenendo che «ci sono responsabilità dei medici». Nella relazione di sei pagine è infatti scritto che «nessun medico, nella giornata antecedente al decesso, si è probabilmente reso conto che la situazione del paziente aveva ormai raggiunto un punto di non ritorno». Secondo il documento, che sarà trasmesso al presidente del Senato e alla procura di Roma, la morte di Cucchi è avvenuta probabilmente due o tre ore prima che il paziente fosse rianimato. Pertanto, anche il medico che ha praticato le manovre rianimatorie, notando una rigidità dei muscoli del collo e dell'articolazione temporo-mandibilare, sapeva che il paziente era morto e da tempo». Per quanto riguarda invece la disidratazione, nella relazione viene sottolineato che il ragazzo ha deciso di rifiutare, almeno in parte, le cure mediche e l'assunzione di cibo e liquidi, per richiamare su di sé l'attenzione e poter parlare così con l'avvocato di fiducia e con i familiari. Cosa che, invece, non è avvenuta. «Le risultanze dell'inchiesta della Commissione Marino sono perfettamente coerenti con quanto sempre sostenuto dalla famiglia Cucchi attraverso i suoi legali e i suoi consulenti», ha affermato l'avvocato Fabio Anselmo, difensore dei familiari di Cucchi. Infine, nelle «conclusioni», la Commissione d'inchiesta ha rilevato che «la vicenda mette in luce la necessità di considerare con attenzione il rapporto tra sanità e carcere, al fine di tutelare e promuovere nei cittadini posti in condizione di restrizione personale il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione», cioè che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Nell'inchiesta, comunque, per ora risultano iscritti sul registro degli indagati tre medici e tre agenti della polizia penitenziaria. Ma non è escluso che il numero degli indagati possa aumentare dopo il deposito dei risultati dei medici legali, previsto per il 25 marzo.

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