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"Stappa" la fontana delle Najadi Flop della videosorveglianza

La fontana delle Naiadi di piazza Esedra

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Prima fa il bagno nella fontana delle Najadi, poi toglie il tappo per svuotarla come fosse un bidet. Alla vista della polizia, il romeno che venerdì pomeriggio ha avuto la rinfrescante idea di tuffarsi in mutande nel monumento di piazza Esedra, inizia a roteare la catena di bronzo alla cui estremità è fissato il tappo e a colpire il monumento. Un poliziotto entra nella fontana che ha iniziato intanto a svuotarsi e tenta di bloccarlo rimediando un paio di calci a una gamba. L'uomo di 43 anni viene portato in Commissariato, arrestato per danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale, e si scopre che è pure ricercato. È la cronaca dell'ennesimo atto vandalico ai danni di un monumento capitolino. Quello dell'altro ieri non era il gesto simbolico di un futurista ma quello di un pazzo senza arte né parte. Personaggi che, dall'Ara Pacis alla scalinata di Trinità dei Monti, da Fontana di Trevi alla statua del Tevere in via delle Quattro Fontane, hanno dovuto poi fare i conti con le registrazioni video. Quelle stesse telecamere che affollano piazza Esedra e che, anche in quest'ultimo caso, hanno dimostrato la loro inutilità a scopo preventivo, tanto che è stato un autista di un mezzo pubblico a chiamare il 113 per avvisare che nella fontana c'era uno in sleep che dava di matto. Gli "attacchi" al patrimonio culturale di Roma sono sempre seguiti da accesi dibattiti sull'utilizzo e l'utilità dei sistemi di videosorveglianza. Ieri, a proposito, è intervenuto il vice-presidente del Consiglio comunale Samuele Piccolo, secondo il quale «oltre all'opera di repressione è necessaria la prevenzione e questa può avvenire solo controllando i monumenti, alcuni dei quali già sotto osservazione, con telecamere collegate alle centrali operative delle forze dell'ordine». Di tutt'altro avviso il direttore della Sovrintendenza comunale Umberto Broccoli che, numeri alla mano, spiega perché l'uso della video-sorveglianza non sia utile a scopo preventivo. «A Roma ci sono 5900 telecamere puntate su 2mila monumenti. Ma, come nel caso dell'Ara Pacis - quando la teca di Meyer venne colorata di bianco, rosso e verde - non furuno né utili a prevenire il gesto, né per identificare i vandali a volto coperto. In altri episodi, al contrario, hanno inchiodato gli autori del gesto». Per Broccoli - che risponde al telefono proprio da piazza Esedra, dove si è recato per controllare la fontana delle Najadi - la videosorveglianza ha un senso solo a scopo repressivo. La prevenzione va fatta in altro modo. Sarà per questo che la sovrintendenza, in accordo con Dino Gasperini, delegato del Comune per il centro storico, ha dato il via a un progetto di monitoraggio attivo che impegnerà 40 volontari "a guardia" dei siti più a rischio. Affinché le telecamere siano utili alla prevenzione, come vorrebbe Samuele Piccolo, dovrebbero essere ben visibili o quantomeno, nei pressi dei monumenti, dovrebbero essere posizionati cartelli con scritto: «Attenzione area video-sorvegliata», «anche se - dice Broccoli - se uno è pazzo non si ferma di certo davanti a un avviso». Per la salvaguardia dei monumenti non si vedono quindi alternative se non quella di pagare buttafuori in giacca, cravatta e occhiali scuri per tenere a distanza turisti e malintenzionati. Purtroppo non è possibile, e quindi, utili o non utili, i tesori di Roma devono accontentarsi di quei 5900 occhi elettronici puntati su di essi giorno e notte. Sguardi indiscreti che a tutto servono, tranne che salvare i monumenti dai deficienti.

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