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Il gay pride sfida la questura

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Volevano concludere il loro variopinto corteo in piazza San Giovanni in Laterano, che è la Cattedrale della diocesi di Roma. Un simbolo del cattolicesimo. Un'ulteriore trasgressione al termine di una sfilata che fa dell'orgoglio omosessuale la sua bandiera e dell'oltraggio alla religione il suo principale slogan. La manifestazione non è stata autorizzata. Non lungo quel percorso, non con quella piazza come traguardo finale. Era stata proposta, invece, la «tratta» piazza Bocca della Verità-piazza Navona. Niente da fare. Loro, per tutta risposta, hanno dichiarato che non rispetteranno le disposizioni di San Vitale. Marceranno lo stesso verso (o sarebbe meglio dire contro) il luogo dove sorge la più antica basilica d'Occidente. «Accogliamo anche noi l'invito delle Associazioni che compongono il Comitato Roma Pride che insieme al Circolo di cultura Mario Mieli di Roma hanno dato appuntamento a piazza della Repubblica per il pomeriggio di sabato 13 giugno, luogo di partenza del Pride, disobbedendo alle imposizioni autoritarie e clericali», ha fatto sapere Sergio Rovasio, segretario dell'Associazione Radicale «Certi Diritti», definendo la decisione della Questura «ispirata da una cultura politica autoritaria e clericale». Una scelta, quella degli organizzatori del Gay Pride, che appare eminentemente politica, oltre che gratuitamente provocatoria. Gli omosessuali, infatti, sono una categoria «trasversale». Tra loro ci sono anche molti cattolici. E il Vaticano non può essere considerato il nemico da combattere.

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