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«Corsi antiviolenza a scuola»

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«Dallaparte delle donne contro ogni violenza». Non è soltanto il tema dell'assemblea pubblica straordinaria prevista per domani mattina al Brancaccio, ma anche, o soprattutto, una linea politica ben definita che va oltre i singoli schieramenti e coinvolge tutta la società civile. È questa la lettura del capo dipartimento del ministero alle Pari Opportunità, Isabella Rauti, organizzatrice dell'assemblea. Professoressa Rauti, perché l'iniziativa del Brancaccio è così importante? «Perché nasce da un grande spirito di partecipazione. Si tratta di un'assemblea in cui viene coinvolta non solo la parte istituzionale in modo assolutamente bipartisan ma anche, o soprattutto, le associazioni che si occupano tutti i giorni di donne vittime di violenza, solo per citarne due, Telefono Rosa e Differenza donna. Daremo poi voce alle vittime stesse con tre testimonianze e non solo per cogliere sensazioni, pareri, suggerimenti ma perché l'emergenza della violenza sulle donne si deve affrontare tutti insieme». Ma secondo Lei è davvero emergenza? «Quella della violenza sulle donne è un'emergenza nazionale che richiede una risposta molto forte, una risposta che il governo ha già dato, ad esempio inserendo tra i reati lo stalking, e sulla quale intende proseguire. Quello della violenza sulle donne è un tema che ha sempre caratterizzato questo ministero e quella di domenica è un'ulteriore assunzione di responsabilità verso un'emergenza che riguarda certamente la sicurezza ma anche la cultura e l'educazione del rispetto dell'altra persona». Una delle piaghe sociali più profonde riguarda proprio la violenza sommersa, quella cioè che migliaia di donne subiscono in silenzio dentro le mura domestiche, come pensate di raggiungere queste vittime senza voce? «Un primo importante passo è stato quello di configurare lo stalking come reato, già questo può dare la giusta forza a molte donne di denunciare gli atti persecutori di cui cade vittima. Per quanto riguarda la violenza domestica, presenteremo proprio domenica il rilancio dello spot e del numero verde dedicato alle violenze sulle donne, il 1522. Il nostro obiettivo è quello di far capire alle donne che non sono sole, di far acquisire insomma la consapevolezza che le istituzioni ci sono. Per questo domani alcune attrici reciteranno per pochi secondi delle frasi ricorrenti nelle vittime. Questo per far comprendere che una scelta di coraggio si può fare e che la violenza subita dalle donne non è un fatto privato». Nuove leggi, spot, strutture territoriali di assistenza e supporto a chi decide di ribellarsi alla violenza o a chi ne cade improvvisamente vittima. Il problema culturale però resta. Come affrontarlo? «Molti episodi di violenza hanno una causa culturale dovuta soprattutto al fatto che le gerarchie tra i sessi si sono spezzate. L'atto violento può dunque ripristinare le gerarchie con la sopraffazione di un genere sull'altro. È un fatto culturale malato in cui la violenza è l'unico modo di relazionarsi con l'altro sesso. Occorre quindi un grande impegno, attraverso ad esempio l'istituzione dei corsi nelle scuole sull'educazione di genere, attrarre l'attenzione di tutte le istituzioni per responsabilizzarle, così come il coinvolgimento delle associazioni, delle forze dell'ordine, dell'autorità giudiziaria, con la quale stiamo lavorando per apposite convenzioni». Cultura però significa anche televisione e pubblicità che spesso riportano modelli falsati di uomini e donne. Si può agire in questo settore senza incorrere nella censura? «L'ultimo caso riguarda la pubblicità di un casa di abbigliamento femminile. Ci siamo rivolti al Giurì e diversi sindaci hanno predisposto la rimozione dei cartelli pubblicitari. Stiamo studiando il modo di sensibilizzare questo settore. All'assemblea di domani interverranno diversi protagonisti della musica, del cinema, della televisione e dello spettacolo proprio perché si facciano testimoni di questa riforma innanzitutto culturale».

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