Conte e Schlein contro Meloni ma divisi sull'Ucraina. Caos risoluzioni a sinistra
Come gli abissi marini, una distanza sempre più abissale. Quella che separa il Pd dal M5S, pianeti diversi spinti sull’orlo di una collisione che si avvicina paurosamente.
Succede ancora una volta sulla politica internazionale, nel giorno delle comunicazioni della premier in vista del Consiglio europeo di oggi e domani.
La buccia di banana è l’Ucraina, scivoloso terreno di confronto per una coalizione che non riesce a decollare: il campo largo. E che a Montecitorio e a Palazzo Madama si presenta in ordine sparso, con sei risoluzioni diverse (Pd, 5stelle, Avs, Iv, Azione, +Europa). Testi che vanno letti per capire il livello di inconciliabilità, altro che programma comune.
Il documento del Pd, che pur risente del faticoso compromesso tra linee diverse, si posiziona in questo modo: «Ribadiamo la ferma condanna della grave aggressione russa dell’Ucraina e garantiamo il pieno sostegno al popolo e alle istituzioni ucraine». C’è anche un piccolo passo in avanti sull’annosa questione degli asset russi: «Siamo per un utilizzo legalmente fondato dei beni russi congelati». Dalla minoranza Pd Filippo Sensi lo definisce: «Un timido riferimento, meglio di niente».
Il testo del M5S è diametralmente opposto. Via di Campo Marzio non ha dubbi: «Va fermato l’invio di nuovi armamenti all’Ucraina. Rigettiamo l’ipotesi della confisca definitiva e dell’utilizzo degli asset finanziari russi bloccati in Europa».
D’altra parte, il confronto tra Elly Schlein e Giuseppe Conte nei mesi scorsi è stato pesantissimo. Flashback: pochi giorni fa l’ex presidente del Consiglio aveva caldeggiato: «Lasciamo che se ne occupi Trump». Gelo dal Nazareno. All’inizio di settembre, invece, la segretaria del Pd si presentò alla festa del Fatto Quotidiano e venne aspramente fischiata proprio per l’appoggio aVolodymyrZelensky. Dopo la replica della presidente del Consiglio, i due leader intervengono a Montecitorio e cercano di distrarsi attaccando Giorgia Meloni.
Il primo è Giuseppe Conte, flemma tribunizia da condottiero: «Stia attenta alle firme che mette a nome degli italiani sugli asset russi».
Poi un buffetto alla quasi amica del Nazareno: «Noi, quando ci presenteremo agli italiani per governare, risolveremo le nostre diverse sensibilità». Forma più che sostanza.
È il turno della segretaria dem: «Il Consiglio europeo affronterà un bivio cruciale per l’Unione Europea. E l’Italia deve parlare con una voce chiara e autorevole. Invece la sua, Presidente, è un sussurro». All’ultimo il tentativo di salvare la faccia: il Pd chiede di votare per parti separate su ogni testo delle minoranze, per favorire uno scambio reciproco di astensioni e voti a favore.
Se il M5S guida la pattuglia dei più sensibili alle posizioni di Mosca, sull’altro fronte, quello da sempre schierato con l’Ucraina, c’è Azione. Dice Carlo Calenda: «Oggi si certifica che il governo e la sinistra hanno deciso di abbandonare l’Ucraina».
Sulla stessa linea, il segretario del Partito Liberaldemocratico Luigi Marattin, che aveva ironizzato su «Matteo "Salvinovsky"», e che nella replica della premier si è guadagnato una citazione. «La Russia è meno forte di quanto abbia voluto raccontare», gli ha risposto la presidente del Consiglio.
Da Palazzo Madama, Matteo Renzi prova il numero eclatante: «Il kebab sta a Giorgia Meloni come le briosche stavano a Maria Antonietta». Poi l’affondo diretto alla premier: «Magari dovesse scegliere tra Stati Uniti ed Europa, lei deve scegliere tra Tajani e Salvini». Infierisce Giorgia Meloni: «Per trovare l’accordo con 6 opposizioni non sarebbero bastate 24 ore». Lo spettacolo finisce e torna la realtà: alla Camera la risoluzione di maggioranza passa con 177 voti favorevoli e 123 contrari. Il sortilegio del campo largo, i pianeti che non si allineano mai.
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