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Nuova legge elettorale, tutto rinviato al 2026. Premier in scheda, preferenze, premi: i nodi

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Foto: Lapresse

Luigi Frasca
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Nessun incontro all’orizzonte tra i leader, né alcuna bozza da poter condividere tra gli alleati. Se ne parlerà dopo la finanziaria. Anzi, dopo Natale. Molto probabilmente il prossimo anno. L’accelerazione, dopo le regionali del 23 e 24 novembre in Veneto, Puglia e Campania, sulla riforma della legge elettorale resta in una fase di incubazione, con la maggioranza in pole per dare le carte ma ancora in piena riflessione. Spetterà alla premier Giorgia Meloni riprendere in mano le redini della situazione e ridare slancio a una trattativa che per ora sembra in stallo. «Al momento un accordo non c’è, va sciolto il nodo delle preferenze e poi dobbiamo coinvolgere le opposizioni, perché questo tipo di riforme si fanno insieme», dice a mezza bocca uno degli sherpa che segue da vicino le trattative. Tutto, dunque, è rinviato al 2026. Il governo prende tempo.

 

 

In Transatlantico, a Montecitorio, la gran parte dei parlamentari scommette che alla fine si arriverà a dama. La maggioranza, pur di spuntarla, andrà avanti a colpi di fiducia, spiega un big del centrosinistra che però vede molte insidie al momento della verità, ovvero quando il testo di riforma arriverà in Parlamento. Nel centrodestra c’è chi invita a non sottovalutare il “fuoco amico”, con i blitz dei franchi tiratori, ricordando il cosiddetto emendamento Biancofiore del 2017 che riguardava l’estensione del sistema elettorale anche al Trentino-Alto Adige e che fece saltare in Aula l’accordo — un proporzionale alla tedesca in salsa italiana — costruito da Berlusconi, Renzi, Grillo e Salvini. Di certo Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega arriveranno al tavolo con l’opzione condivisa di superare l’attuale sistema misto, il Rosatellum con un proporzionale “rafforzato” dal premio di maggioranza e da una soglia di sbarramento.

 

 

Il resto — dalle eventuali preferenze ai listini di coalizione, fino al nome del premier in scheda — sarà messo in cantiere più avanti, ma sul cui esito nessuno si spinge oltre ipotesi di scuola. Sul premio di maggioranza, nei conciliaboli interni alla maggioranza, si ragiona su una soglia del 40% per farlo scattare: chi la raggiunge potrebbe ottenere il 55% dei seggi. Più delicata la questione della soglia di sbarramento, che potrebbe essere fissata al 3% per tutelare le forze minori, comprese Noi Moderati e forse anche Azione. Navigazione a vista sul nome del premier in scheda, che potrebbe rivelarsi un boomerang anche per Meloni: un rischio messo in evidenza dal presidente del Senato Ignazio La Russa, secondo cui «qualche elettore potrebbe scegliere la leader e non barrare il simbolo di FdI». Sulle preferenze la Lega si dice contraria, mentre FdI e FI mantengono una cautela solo apparente. Intanto il partito della premier indica nel Tatarellum il possibile modello di partenza: un proporzionale con premio di maggioranza ed elezione diretta del presidente della giunta regionale, una legge del 1995 che sarà al centro di un convegno in Senato il 16 dicembre, alla presenza dello stesso La Russa.

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