Urso, l'intervista al ministro: “Ecco le risorse per l'ex Ilva. Possibile il supporto pubblico e quattro operatori interessati”
Il futuro travagliato dell’ex Ilva, il piano Transizione 5.0, la legge di bilancio e le opportunità che si aprono in settori come quello aerospaziale. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, affronta tutti i temi caldi del momento indicando le possibili soluzioni ai tanti nodi ancora da sciogliere.
Ministro, dopo l’ultima riunione a Palazzo Chigi sull’ex Ilva c’è stata la rottura con i sindacati che hanno chiesto un intervento della Meloni al tavolo. A Genova e Taranto proteste con scioperi e blocchi stradali. La situazione è sfuggita di mano?
«Il Tavolo Ilva è a Palazzo Chigi da oltre due anni, peraltro su mia specifica richiesta, anche perché la soluzione è competenza di più Dicasteri. È coordinato dal sottosegretario Mantovano, e vi partecipano anche gli altri ministri competenti, a dimostrazione di quanta importanza il Governo abbia sempre riposto nel confronto con i sindacati, come nessun altro prima. Si svolgono poi riunioni collaterali, per le rispettive competenze, al Ministero del Lavoro così come al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, sempre in perfetta unità di intenti, come quella convocata, su richiesta di enti locali e sindacati, per venerdì pomeriggio al Mimit. Questa coesione di intenti trova piena conferma nel decreto appena approvato, che garantisce ai commissari le risorse necessarie a realizzare sia la manutenzione degli impianti, ai fini di aumentarne la capacità produttiva e soprattutto di garantire la massima sicurezza dei lavoratori, sia la formazione professionale necessaria alle nuove tecnologie».
Perché tutti gli investitori che vengono alla fine si tirano indietro? Non c’è futuro per l’ex Ilva?
«Il contesto locale è molto difficile anche per l’eredità del passato, che ha lasciato gravi ferite nella città di cui siamo pienamente consapevoli, oltre a compromettere la funzionalità degli impianti. Baku Steel, con cui i commissari avevano in corso il negoziato preferenziale, ha dovuto prendere atto del diniego all’approdo della nave rigassificatrice con cui pensavano di alimentare forni elettrici e relativi DRI nel processo necessario e condiviso di decarbonizzazione. Peraltro, il secondo altoforno è ancora sotto sequestro probatorio, con una perizia che non si è ancora conclusa dopo sette mesi. In questo contesto molto complesso, vi sono comunque quattro operatori in campo: due lo hanno fatto con specifiche manifestazioni di interesse e gli altri chiedendo l’ingresso in Data Room. Si tratta di una sfida difficile, come tutti riconoscono, ma il nuovo contesto europeo che stiamo determinando potrebbe incoraggiare gli investimenti di operatori che non producono in Europa».
A cosa si riferisce?
«Siamo riusciti a convincere la Commissione ad agire per la tutela della produzione interna dalla concorrenza extra-UE, che spesso non rispetta le nostre regole ambientali e lavorative. Nelle prossime settimane la Commissione ci presenterà le nuove misure di salvaguardia sull’acciaio che andranno incontro a queste nostre esigenze e procederà con la revisione del CBAM sulla base del documento di indirizzo che noi avevamo presentato. Per questo chi non produce in Europa avrà la necessità di produrre nel nostro continente».
È ipotizzabile un intervento di nazionalizzazione sulla scorta di quanto accaduto con Ita o con Mps, cioè un intervento dello Stato, risanamento e rimessa sul mercato? Ad esempio potrebbe avvenire con Cassa Depositi e Prestiti?
«Anche nella precedente gara, che poi si concluse con l’assegnazione a Mittal, era presente una cordata di cui faceva parte Cdp, la cui offerta fu giudicata non adeguata. Anche in questo caso, come accadde allora, è necessario passare attraverso la gara, come prescrivono le norme europee, peraltro nel pieno rispetto delle regole sugli aiuti di Stato. L’ipotesi di un soggetto pubblico che supporti una proposta industriale è ovviamente in campo».
Nel Cdm di ieri è stata affrontata anche la questione di Transizione 5.0, approvando un decreto-legge che dà garanzie e certezze, come lei aveva auspicato. Come state intervenendo?
«In tre modi, in piena coerenza, al fine di sostenere gli investimenti in innovazione, digitalizzazione e sostenibilità ambientale delle nostre imprese che hanno mostrato un gradimento ben superiore alle previsioni per il Piano Transizione 5.0. Primo: con il decreto approvato ieri, che ci consente di garantire le agevolazioni pubbliche sia a coloro che sono entrati in graduatoria, sia a coloro che, ove le loro richieste siano legittime, si prenoteranno sino alla chiusura della piattaforma prevista per il 27 novembre. Secondo: con l’immediata attivazione del nuovo Piano Transizione 5.0 dal 1° gennaio del prossimo anno, mediante un emendamento alla legge di bilancio che eviti ulteriori provvedimenti applicativi. Terzo: con l’impegno a rendere continuativa la misura, che ha avuto straordinario successo, anche negli anni successivi».
Lei ha usato la metafora del brutto anatroccolo ora diventato un cigno. Ce la può spiegare?
«Transizione 5.0, come il brutto anatroccolo, prima osteggiato, deriso, allontanato, si è rivelato improvvisamente un bellissimo cigno che tutti desiderano. Le stime e i dati delle prenotazioni si sono rivelate errati, condizionando la scelta sulla copertura finanziaria in occasione della riprogrammazione dei fondi del PNRR. Abbiamo invece superato già i 4 miliardi di prenotazioni che, sommati ai 2,3 di Transizione 4.0, raggiungono un ammontare complessivo di 6,3 miliardi di euro».
Per questo avete posto un limite al 27 novembre?
«Certo, perché abbiamo necessità di capire quante siano le risorse da coprire, per farlo in modo tempestivo ed efficace prima della chiusura della legge di bilancio».
Confindustria un paio di settimane fa ha espresso perplessità sull’impatto reale della Manovra per le imprese e ha lanciato un allarme sul costo dell’energia. Cosa farete?
«Il ministro Pichetto Fratin sta definendo un nuovo intervento a sostegno delle imprese. Nel contempo abbiamo tracciato la strada per consentire di produrre e installare anche nel nostro Paese i reattori nucleari di nuova generazione, puliti e sicuri, realizzati su base industriale, di piccola dimensione, adattabili e compatibili, trasportabili su un container e adatti alla tipologia del nostro sistema industriale».
Dicembre sarà un mese cruciale per dossier come l’auto e la siderurgia. Da Bruxelles però arrivano notizie contrastanti.
«Il 10 dicembre, con la revisione del CBAM, la Commissione - accogliendo la nostra proposta di anticipo sui tempi previsti - ci presenterà anche la revisione del Regolamento sulla CO2 sui veicoli leggeri. Siamo in battaglia perché sia radicale ed efficace».
Mercoledì lei presiederà a Brema il consiglio ministeriale ESA che deciderà gli stanziamenti dei Paesi membri per l’Agenzia spaziale. Quali sono i temi e le proposte che porterà per questo settore?
«L’Italia è finalmente tornata protagonista dell’avventura spaziale, con imprese competitive in ogni attività, dall’osservazione della Terra all’esplorazione, fino al comparto satellitare. E siamo stati i primi in Europa a realizzare una legge che regolamenta anche l’attività dei privati. E l’ultima intesa su Bromo con Leonardo traccia la strada che porta all’autonomia strategica europea».
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