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Pd, oggi il battesimo per la corrente riformista che ha abbandonato Bonaccini

Aldo Rosati
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Un classico finale da commedia all’italiana, stile Parenti serpenti. D’altra parte, gli equilibri erano già fragilissimi, almeno da quando il capo famiglia fu costretto ad ammettere di essersi preso una sbandata: «Ho deciso, seguo Elly». I congiunti ci hanno messo del tempo a mettere a fuoco la nuova realtà, dopodiché hanno preso la decisione obbligata: «È finita, ci trasferiamo». Insomma, c’eravamo tanto amati, storie di relazioni al capolinea, tra improvvisi tradimenti e recriminazioni di ogni genere. La fotografia della dolorosa separazione tra l’ex capo della minoranza dem Stefano Bonaccini e i riformisti che oggi a Milano inizieranno il percorso da separati, lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

L’appuntamento è alle 15 al teatro Parenti («Crescere», il titolo dell’iniziativa), in pratica il battesimo di una nuova area politica che mette insieme nomi eccellenti dell’organigramma Pd. In prima fila tre ex ministri (Marianna Madia, Graziano Delrio e Lorenzo Guerini), una ex capogruppo (Simona Malpezzi), tre eurodeputati di punta (Pina Picierno, Elisabetta Gualmini, Giorgio Gori), e un gruppetto di parlamentari (Lia Quartapelle, Filippo Sensi, Sandra Zampa, Walter Verini, Alfredo Bazoli).

Un’avventura complicatissima: costringere Elly Schlein a considerare il Centro, senza appaltarlo fuori (vedi alla voce Alessandro Onorato e Matteo Renzi). Una missione ad alto rischio: uscire dal cono d’ombra imposto dal Nazareno e magari essere pronti a dare la spallata decisiva alla segretaria che si è inventata il campo largo. In Toscana dei 15 consiglieri regionali eletti dai dem, 7 sono loro. La senatrice Simona Malpezzi la spiega così: «Deve essere il Pd a rappresentare anche questo mondo al centro, moderato, senza delegare questo compito ad altri. Non rinunciamo a fare quel lavoro perché è nel nostro dna, nella storia delle nostre culture fondative».

La parola magica, in effetti, è quella delle origini: «Vocazione maggioritaria», che secondo i riformisti si sarebbe persa per inseguire Giuseppe Conte. La corrente è stata vittima di un sortilegio: l’ex presidente dell’Emilia Romagna, uscito sconfitto dalle primarie del ’23, avrebbe dovuto guidare la minoranza. Poi andò in un altro modo, Bonaccini decise di affiancare Elly Schlein, la segretaria che lo superò nei gazebo. Con l’evento di oggi, «i riformisti riprendono la loro voce», spiega uno dei promotori, «siamo l’unica minoranza», il grido di gioia. Con un nume tutelare che si scalda nell’ombra: l’ex commissario Ue Paolo Gentiloni, la riserva di lusso pronta a scendere in campo per ogni evenienza. Ieri, all’inaugurazione del festival «Sarà» a Bergamo, Gentiloni ha sintetizzato il suo manifesto: «Il Pd deve esercitare il suo ruolo guida e non delegarlo».

Ovvero, basta con gli inchini a via di Campo Marzio, soprattutto sui temi cruciali della politica internazionale. Ancora più definitivo la scorsa settimana: «Così com’è la coalizione non è pronta ad essere un’alternativa di governo». Una che lo sa bene è la vicepresidente del Parlamento Europeo, Pina Picierno, vera e propria «bestia nera» degli ex grillini a Bruxelles. Da lei una sorta di ultimo avvertimento al Nazareno: «Torno a chiedere chiarezza, e la definizione di linee rosse precise, se vogliamo essere davvero una proposta credibile di alternativa di governo».

Chi l’ha presa malissimo, intanto, è il capo famiglia che si è allontanato, Stefano Bonaccini, e che ora si scaglia contro la nuova creatura: «Apprezzo il riformismo dei fatti, molto meno quello delle parole». Se la ridono gli ex congiunti, che per il loro appuntamento milanese useranno una colonna sonora che suona come uno sberleffo: «Revolution».

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