Vannacci: "Lega coerente con la sua visione. Nessuna crepa con gli alleati"
«La Lega, coerente con la sua visione di un’Europa dei popoli e non delle banche e delle multinazionali, ha votato contro questa Commissione che ha dimostrato di essere lontana dai veri interessi dei cittadini. Con gli alleati? Nessuna crepa». È questo il commento del vice della Lega ed europarlamentare Roberto Vannacci dopo il voto di sfiducia alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, bocciata con 360 voti contrari, 175 sì, e 18 astenuti.
La sfiducia alla von der Leyen da parte della Lega era scontata. Ma FdI e FI hanno votato in modo difforme, i primi si sono astenuti, i secondi hanno votato per il no. Questo come si concilia con la visione di Europa che c’è nella maggioranza?
«La questione della sfiducia alla von der Leyen e il voto difforme della maggioranza è chiara. La Lega, coerente con la sua visione di un’Europa dei popoli e non delle banche e delle multinazionali, ha votato contro questa Commissione che ha dimostrato di essere lontana dai veri interessi dei cittadini. Fratelli d’Italia e Forza Italia, pur essendo parte della stessa maggioranza, hanno fatto scelte diverse, dettate probabilmente da logiche di posizionamento e alleanze europee che, a mio avviso, a volte sacrificano la sovranità nazionale. Questo dimostra che la strada per una vera Europa che rispetti le identità e gli interessi dei singoli Stati è ancora lunga e tortuosa, ma la Lega continuerà a battersi per essa, senza compromessi».
A Strasburgo si sono registrate altre due vittorie per l’Italia: voto favorevole al patto Italia Albania e voto contro il green deal.
«Abbiamo assistito a due vittorie di buon senso: il via libera al patto con l'Albania, un passo concreto per la gestione dell'immigrazione che tutela i nostri confini ela nostra sovranità, e il voto contro il Green Deal, che dimostra come le politiche ideologiche, dannose perla nostra economia, possano essere fermate. È ora di rimettere al centro gli interessi nazionali e il benessere dei nostri cittadini, senza cedere a diktat irrealistici».
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Poi ci sono state le dimissioni della Carola Rackete... Il suo post con i peli in vista ha suscitato clamore. Ce n’era bisogno?
«Se una signora, o chiunque altro, decide di esporre pubblicamente una caratteristica fisica, che sia un décolleté, un bicipite scolpito o, in questo caso, dei peli sulle gambe, sta facendo una dichiarazione. Ne va fiera, è una sua scelta deliberata. E come tale, va trattata. Perché mai dovremmo usare due pesi e due misure? Se si esalta la bellezza di una scollatura, perché ci si dovrebbe scandalizzare se si commenta un’ascella villosa messa volontariamente in primo piano? La logica non ammette inversioni a "U" a seconda della convenienza ideologica. Non c'è nulla di sessista, ma solo la constatazione di una scelta estetica esibita con orgoglio».
Più che sessismo, è una questione di scelte comunicati
«Il vero problema è questo tentativo costante di creare categorie protette e intoccabili, di stabilire cosa si può dire e cosa no, basandosi non sulla logica, ma su un'ideologia fragile e contraddittoria. Se si sceglie la via della pubblica esibizione, bisogna accettarne le conseguenze, compreso il fatto chele persone osservino, commentino e, perché no, critichino. Il corpo è uno, e la coerenza dovrebbe essere una».
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Si rompe così l’asse Lucano, decaduto, la Rackete dimessa, la Salis in difficoltà.
«Quello che lei chiama “asse” io lo definirei un “castello di carte” ideologico, costruito su un politicamente corretto tanto fragile quanto arrogante. E come tutti i castelli di carte, al primo soffio di realtà, crolla miseramente. Non mi sorprende, è la naturale conseguenza di azioni e candidature che non avevano nulla a che fare con la competenza o il bene comune, ma servivano solo come manifesto di una certa sinistra radical chic. È la dimostrazione che non si può costruire una carriera politica sulla provocazione, sulla disobbedienza e sulla ricerca di scorciatoie. Prima o poi, la realtà, i fatti e il giudizio degli italiani presenteranno il conto. E quel conto, per loro, è arrivato».
Sul fronte italiano, la Lega come ha percepito le parole di Berlusconi sullo ius scholae?
«Ho letto con attenzione le dichiarazioni di Piersilvio Berlusconi. Apprezzo la cautela con cui si è espresso, ma resto fermamente contrario allo ius scholae, in qualsiasi tempo e in qualsiasi modo venga presentato. La cittadinanza non è un premio per la frequenza scolastica: è un atto identitario, un riconoscimento di appartenenza, non una formalità amministrativa. La Lega su questo è chiara: nessuna scorciatoia. L’Italia deve difendere i propri confini culturali prima ancora che geografici. Ogni apertura su questo fronte rischia di incentivare ulteriormente una sostituzione culturale che è già in atto».
Le divergenze con FI sono semplici differenze di vedute o celano una crepa più profonda?
«Guardi, la politica non è un coro di yes men. È normale, anzi, è sano che all'interno di una coalizione ci siano sensibilità diverse. Siamo alleati, non cloni. Forza Italia ha la sua storia, le sue radici, la sua cultura politica. La Lega ha le sue. Io stesso porto una visione che è mia, chiara e senza compromessi. Su temi come l'immigrazione, la sicurezza, l'identità nazionale, abbiamo una linea netta, intransigente, che non ammette annacquamenti. È la linea che ci chiedono i nostri elettori».
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