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L'intervista a Renzi: “Voterò no sul Jobs Act. I riformisti Pd? Poco coraggiosi. Senza di me la sinistra perde”

Edoardo Romagnoli
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«Voterò no ai referendum inutili e sbagliati che la CGIL fa contro il mio governo, quelli sul Jobs Act. Voterò sì su quello che semplifica le regole burocratiche della cittadinanza. Sugli altri due lasceremo libertà di voto. Quanto ai riformisti del Pd noto con piacere che si astengono. Ma si sono astenuti anche dal difendere la legge che loro stesso avevano votato quando Elly Schlein ne ha parlato in direzione. Non so se sono ancora riformisti, certo non sono più coraggiosi». Sul referendum dell’8 e 9 giugno il leader di Italia Viva Matteo Renzi non risparmia stoccate alla segreteria dem, ma neanche ai riformisti.

A proposito di Jobs Act lei ha criticato la scelta del Pd e della Cgil di volerlo cancellare tramite il referendum, ma questo potrebbe complicare la possibilità di un’alleanza col Pd?
«Non vedo perché dovrebbe: stiamo discutendo del passato, non del futuro. E non dimentichiamo che anche Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno votato contro il Jobs Act: se si dovesse fare la coalizione sulla base del giudizio su questa legge avremmo il campo largo da Meloni a Schlein contro di me. No, dai, parliamo di futuro. Il centrosinistra deve costruire un progetto alternativo alla Meloni, sui contenuti. Vediamo se sarà in grado di farlo. Se qualcuno vuole che io faccia abiura, non mi conosce. Io non rinnego nulla delle battaglie che ho fatto. Se non mi vogliono in coalizione perché ho fatto Industria 4.0 o perché ho portato Mario Draghi è un problema loro: sono loro che così facendo perderanno le elezioni politiche e faranno un regalo ai sovranisti della destra».

Lei ha rivendicato l’effetto del Jobs Act sul mondo del lavoro ma è indubbio che abbia tolto una serie di garanzie al lavoratore visto che con la legge in vigore il dipendente a tempo indeterminato di un'impresa con più di 15 lavoratori non può essere reintegrato se licenziato illegittimamente.
«Il meccanismo dell’indennizzo è più efficace sia per il lavoratore, che sa di poter contare su soldi sicuri e un percorso per tornare a lavoro, che per l’imprenditore che, con la certezza del poter indennizzare il lavoratore senza reintegro, non ha più freni nel poter assumere. Non a caso i lavoratori sono cresciuti di oltre un milione di unità. Dopo di che parliamoci chiaro: il Jobs Act ha aumentato i diritti, dal divieto delle dimissioni in bianco alla Naspi. E il mio Governo ha dato gli 80 € netti mensile, ha abolito l’IMU prima casa, ha tolto l’Irap costo del lavoro, ha abbassato le tasse in agricoltura. Questa è la realtà, il resto è propaganda».

 



L’ultimo suo libro «L’influencer» è una lunga critica a Giorgia Meloni, qual è secondo lei l’errore più grande commesso dalla premier e la dote che le invidia?
«Chi ha letto il libro sa che non è una critica ma una valutazione politica. Penso che Meloni sia brava a comunicare ma non sappia governare. Scrive tweet, non riforme. Il Paese è da 26 mesi con produzione industriale negativa e gli stipendi non crescono quanto il costo della vita.
Quasi duecentomila italiani se ne sono andati lo scorso anno: dato devastante e record storico delle fughe dal nostro Paese. Per Meloni va tutto bene, per me no. Io credo che gli italiani stiano peggio rispetto a tre anni fa. E alla fine le elezioni si giocano su questo».

Medio Oriente, lei ha dichiarato che l’operazione portata avanti dal governo israeliano in Palestina non è un genocidio eppure l’Onu in un rapporto dello scorso marzo parla di «atti di genocidio» nella Striscia di Gaza. Cosa ne pensa?
«Indipendentemente dalla definizione il punto politico è come fermare questa guerra senza quartiere lasciando agli arabi il controllo e la leadership sulla striscia di Gaza, a condizione che Hamas e gli estremisti siano cacciati dalla gestione di questa regione. La situazione umanitaria si fa giorno dopo giorno più difficile. I bambini arabi e israeliani hanno il diritto di crescere come due popoli in due stati diversi. Più che leggere i rapporti dell’ONU mi interessa trovare una soluzione duratura e giusta».

 



Ha seguito la querelle della foto? Meloni criticata per non essersi fatta immortalare assieme alla coalizione dei volenterosi prima nella Basilica di San Pietro poi a Tirana. È davvero il segno che l’Italia non è più capofila in Europa o è la riprova che la politica si è ridotta a pura narrazione e che quindi è più importante farsi immortalare in una foto che portare a casa degli obiettivi concreti?
«Meloni è la specialista delle foto a effetto. La verità è che vederla fuori dai leader dell’Europa che conta fa male al cuore di tutti gli italiani. L’Italia è stata retrocessa in serie B per colpa di Giorgia Meloni e al nostro posto va la Polonia: che follia! In questa settimana la nostra premier ha sbagliato in Parlamento dimostrando di non conoscere il significato dello spread e ha sbagliato in politica estera a non stare tra i volenterosi. Che nel frattempo lavorano insieme a Donald Trump senza bisogno della mediazione italiana. A Meloni dico: meno chiacchiere e più sostanza, per favore. E meno fake news come quella che la riunione dei volenterosi serviva a mandare le truppe sul terreno: una bugia bella e buona non degna del capo di governo di un Paese del G7».

 

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