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Redditometro, la posta in gioco e le “manine” dei super tecnici

Alessio Gallicola
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Il termine più gettonato in queste ore è «cortocircuito». Quello che è scattato all’interno della maggioranza immediatamente dopo che il viceministro Leo ha reinserito nel dibattito pubblico la parola «redditometro», facendo sobbalzare anche i più prudenti partner di governo. «Ma è impazzito?», «Ma siete sicuri che sia proprio lui?», continuavano a chiedersi sconcertati i suoi colleghi commercialisti, che pure ne stimano le qualità professionali ma ora sono pronti a presentare un pacchetto di proposte per provare a mettere una toppa. Al di là del merito della questione (si tratta di una misura inevitabile, dicono dal governo, se non si vuole tornare alla legge del 1973 che davvero metterebbe le mani in tasca a chiunque) la vicenda redditometro fa tornare di attualità l’annosa querelle fra tecnici e politici del ministero dell’Economia, con la particolare capacità dei super burocrati di Stato di convincere chi siede temporaneamente sulla poltrona di ministro, o vice, ad assumere provvedimenti impopolari in forza della «ragion di Stato».

 

 

Che in questo caso si chiama Corte dei Conti, ma in altre circostanze prendeva il nome di Europa, Bce o altro. «Ce lo chiede l’Europa» è stato il mantra di anni. E così per i maligni, alla ricerca di una spiegazione plausibile all’intemerata di Leo, non è stato difficile tornare con la mente alle famose «manine» del trio Rivera-Franco-Garofoli, rispettivamente Direttore generale del Mef, Ragioniere dello Stato e Capo di Gabinetto del ministro, che fecero imbestialire i Cinquestelle all’epoca del Conte 1, con i grillini convinti che quei tre avessero nascosto i conti per far fallire il Reddito di Cittadinanza.

 

 

Ora è difficile credere che Maurizio Leo, classico politico con solida competenza professionale in materia, sia un soggetto facile da instradare, ma è altrettanto vero che le pressioni degli apparati dello Stato sanno farsi sentire. E quando a spingere sono, tra gli altri, il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Ruffini, che combatte la battaglia della lotta all’evasione anche con le presentazioni in giro per l’Italia del suo libro «Uguali per Costituzione. Storia di un’utopia incompiuta dal 1948 a oggi». O il Capo di gabinetto del Viceministro, Italo Volpe, allievo di Vincenzo Fortunato, storico braccio destro di Tremonti, allora non è facile resistere con argomentazioni di opportunità politica del tipo: «Sì, ma siamo a 15 giorni dalle elezioni». Ed ecco che il cortocircuito è bello e confezionato, con tanto di reazioni piccate degli alleati, di sorrisini di scherno degli avversari e di intervento a piedi uniti del premier per salvare il salvabile. Un teatrino tutt’altro che strategico a due settimane dal voto in Europa.

 

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