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Scurati, altro che censura: è tutta una questione di compensi. E attacca Meloni

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Valentina Bertoli
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Così come accade per le bolle di sapone, che prima si gonfiano e si fanno testimoni dell’esattezza della forma e poi improvvisamente scoppiano sbugiardando la formula che le tiene in aria, l’ultima polemica cucinata in salsa anti-Meloni ha avuto vita breve. Il motivo? La forza attrattiva del dio denaro. Il protagonista è Antonio Scurati, lo scrittore che nella puntata di ieri di «Che sarà...», la trasmissione del sabato sera di Rai 3, avrebbe dovuto recitare un monologo per la ricorrenza del 25 aprile e che, invece, non si è presentato. A comunicare il cambio di programma è stata la conduttrice Serena Bortone, che via social ha spiegato di aver saputo «con sgomento e per puro caso» che il contratto del giornalista fosse stato annullato senza «spiegazioni plausibili». Ed è proprio sull’attendibilità delle cause che si è sgretolato il teorema della sinistra. Le opposizioni, come da copione, si sono messe sulle barricate e hanno cavalcato il caso, che di ora in ora è montato. Le ombre nere, la fine dell’era democratica sono solamente due degli slogan che hanno scandito a gran voce.

 

 

Poi, a prendere in mano l’ago e a bucare la perfezione della sfera trasparente, ci ha pensato Paolo Corsini, il direttore dell'Approfondimento del servizio televisivo pubblico. «Nessuna censura. La partecipazione dello scrittore Antonio Scurati non è mai stata messa in discussione, come dimostrano i comunicati stampa e gli elenchi ospiti ad uso interno. Credo sia opportuno non confondere aspetti editoriali con quelli di natura economica e contrattuale, sui quali sono in corso accertamenti a causa di cifre più elevate di quelle previste e altri aspetti promozionali da chiarire», ha dichiarato. A stretto giro è intervenuto anche il sindacato Unirai: «Abbiamo appreso che non c’è stata nessuna censura. Resta il rammarico che l’azienda, e quindi tutti i lavoratori, da molto tempo, siano bersaglio di chi cerca solo di alimentare inutili polemiche. Il dibattito è sempre gradito, con il massimo numero di voci possibili, ma deve essere attinente alla realtà dei fatti», si legge in una nota ufficiale. Ad avvalorare la tesi secondo cui il motivo del dietrofront del docente di letterature comparate e di scrittura creativa sarebbe di natura meramente economica ha contribuito una mail messa in circolazione da Ilaria Mecarelli, produttore esecutivo del contenitore televisivo. Stando a quanto si legge, l’ospitata di Scurati era sì prevista, ma a titolo gratuito (TG) e non a titolo oneroso (TO) come per altre figure invitate.

 

 

Tassello, questo, che rende credibile una sola ipotesi: il compenso sarebbe stato chiesto dallo scrittore solo in un secondo momento rispetto alla firma degli accordi. Hanno chiesto l’audizione dei vertici dell’Azienda i componenti della Commissione di Vigilanza sulla Rai di Fratelli d’Italia. Nel frattempo Repubblica prova a smontare la questione del cachet pubblicando un documento Rai in cui si dice che l’ospitata sarebbe saltata per «motivi editoriali». Ma i motivi editoriali «è la formula che, meramente, viene usata per sottintendere formalmente quella dei motivi economici», spiega una qualificata fonte interna della Rai a Il Tempo. Intanto il premier ha frenato ogni macchinazione, pubblicando il testo dell’autore sul suo profilo Facebook: «La sinistra grida al regime, la Rai risponde di essersi semplicemente rifiutata di pagare 1800 euro (lo stipendio mensile di molti dipendenti) per un minuto di monologo. Non so quale sia la verità, ma pubblico tranquillamente io il testo (che spero di non dover pagare) per due ragioni: 1) Perché chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno. 2) Perché gli italiani possano giudicarne liberamente il contenuto», ha scritto. In serata arriva anche la replica di Scurati che attacca direttamente Meloni: «La decisione di cancellare il mio intervento è evidentemente dovuta a motivazioni editoriali, come dichiarato esplicitamente in un documento aziendale ora pubblico». Peccato che, come detto, dietro quei motivi editoriali ci sono i soldi.

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