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Stefania Craxi randella la sinistra: “Dietro il pacifismo di maniera segnali ambigui”

Pietro De Leo
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Nel primo giorno del Consiglio Europeo di Bruxelles, che si chiude oggi, il Tempo analizza lo scenario con Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia e Presidente della Commissione Esteri e Difesa di Palazzo Madama.

È un Consiglio particolare, perché si svolge alla vigilia delle elezioni europee. Come è arrivata l’Unione al summit?
«È un frangente delicato, non tanto per la scadenza elettorale quanto per il quadro internazionale. Certo, le sortite improvvide e le fughe in avanti di alcuni leader europei sul conflitto ucraino, come le riunioni che rievocano un rigurgito anacronistico di un’Europa delle "gerarchie di potenza", in questo frangente una dimostrazione di debolezza più che forza, non fanno il bene né dell’Europa né aiutano a trovare le soluzioni necessarie».

C’è una questione che comincia ad aleggiare, il "fattore Trump". Fino a che punto l’Ue deve temere un disimpegno degli Stati Uniti nel caso in cui il tycoon vincesse di nuovo le elezioni?
«Trump o non Trump, non credo che gli Usa possano immaginare, anche in virtù dei loro interessi strategici, un disimpegno dallo scenario globale. Dietro ogni crisi, seppur consumata in quadranti distanti, si cela una partita tra i principali player internazionali. Tema diverso, che trascende dal tycoon, dalle sue dichiarazioni forti e tutt’altro che diplomatiche, è quello di un’Europa che si fa attore e che si pone anche il tema dei costi della sua sicurezza».

 



Allude al finanziamento della Nato?
«È un nodo che gli Stati Uniti ci pongono da tempo. Una questione con cui specie le realtà europee aderenti all’Alleanza atlantica sono chiamate a confrontarsi e che non contraddice, ma anzi rafforza, la prospettiva di una difesa comune europea».

L’utilizzo degli extra profitti degli asset russi congelati per sostenere finanziariamente l’Ucraina non rischia di allontanare ulteriormente la chance di una trattativa?
«Non lo credo. Semmai gli spazi per una trattativa si allontanerebbero ancor più nel momento in cui Mosca percepisse un’Ucraina indebolita, abbandonata. È una circostanza che porterebbe Putin ad alzare il tiro e il prezzo. E comunque, in un momento in cui non è facile reperire risorse per sostenere Kiev nella difesa del suo territorio, è un’opzione da non escludere. Tant’è vero che è un’ipotesi al vaglio anche del G7 a presidenza italiana».

Nel dibattito domestico, la sinistra mette un cuneo sulle parole pronunciate da Salvini sulle elezioni in Russia per denunciare spaccature nella coalizione di governo. Il voto comune del centrodestra sul tema copre davvero tutto?
«I voti sono un fatto incontrovertibile, dimostrano che all’atto pratico la maggioranza si muove compatta molto più di quanto si racconti. Certo, alcune dichiarazioni tutt’altro che condivisibili andrebbero evitate per non ingenerare equivoci. E, se mi permetta, andrebbero evitate anche da parte di certa opposizione che, dietro un pacifismo di maniera, occhieggia e manda segnali ambigui a mondi, interni ed esterni».

 

 

Scenario Medio Oriente. Anche qui, le possibilità di una tregua al momento paiono non esistere. Quale può essere una chiave divolta?
«Il 7 ottobre è uno spartiacque. Credo sia difficile ipotizzare una tregua senza immaginare contestualmente un dopo, senza indicare una prospettiva di sicurezza per Israele e un cammino che porti alla costruzione di un’entità statuale palestinese riconosciuta. E per questo fondamentale uno sforzo del mondo arabo moderato, sostenuto da alcuni paesi occidentali – l’Italia potrebbe giocare un grande ruolo - senza i quali è impossibili trovare soluzioni».

 

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