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Gianluigi Paragone: perché mi dimetto da Italexit e lascio la politica

Gianluigi Paragone
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Stiamo parlando di una notizia piccola piccola, sia chiaro. Ma mi riguarda e approfitto della vostra pazienza per spiegare perché ho lasciato la guida del partito che ho fondato. Lascio Italexit e la politica per un dovere di correttezza verso chi mi legge e mi guarda in tv; non volevo generare l’equivoco “Sta parlando il politico o il giornalista?”. Parlo da giornalista, visto che in politica ero entrato forte delle mie battaglie sostenute in tv, sulla carta stampata e in radio. Insomma, la mia identità. Che tale resta ma non al servizio di un partito o di una competizione elettorale. Pertanto - per fugare ogni dubbio - nego qualsiasi voce di una mia candidatura a Bruxelles con altre forze. C’è poi un’altra ragione per cui mi sono dimesso. Ed è più di lettura politica. Non credo che nel breve ci possa essere uno spazio al di fuori del perimetro del centrodestra. E non penso nemmeno che il cosiddetto “fronte del dissenso” possa reggere la prova di uno sbarramento alto, qual è il 4 per cento. Ma al di là dei numeri la questione è politica.

 

 

Non si può negare che con la mancata ratifica del Mes, Fratelli d’Italia e Lega abbiano dimostrato coerenza con i propri elettori e coraggio. Il cosiddetto fondo salva Stati aveva e ha tuttora una valenza simbolica enorme, pertanto una sua ratifica avrebbe comportato una botta di credibilità per la Meloni e per Salvini, dopo tanti anni spesi a criticare e denunciare l’inganno del Mes. Nessuno dei due ha ceduto nonostante le pressioni (Conte non potrà mai dire la stessa cosa visto che il Conte due si impegnò a ratificarlo laddove non ci fosse stata una crisi di governo perché la sua maggioranza gli diede tale mandato); questo non può essere sottovalutato dal campo dell’euroscetticismo, più o meno hard. Pensare inoltre che il no al Mes sia una formalità o una “piccola cosa” significa non aver compreso la pesantezza delle regole del gioco e di come il governo Meloni sarà sottoposto a ogni tipo di “attenzione” da parte di quel mondo finanziario e tecnocratico che detiene la golden share della Ue. Le reazioni saranno pesanti e a Palazzo Chigi lo sanno. Il no alla ratifica lascia una impronta pesante, è un precedente di sostanza ed è - come dicevo - un rispetto pieno della parola data agli elettori.

 

 

Lascio Italexit ma non per questo rinnego le battaglie su cui ho messo la faccia: le rifarei tutte da quelle contro Bruxelles all’opposizione intransigente a Mario Draghi, dal no al green pass alla contrarietà al vaccino obbligatorio. Sono state la normale continuazione delle mie battaglie giornalistiche quando ero conduttore in tv o in radio o ai vertici dei giornali. Le ho portate in un campo diverso, dentro le istituzioni, dove ero entrato per provare a non limitarmi alla denuncia; speravo che coi Cinquestelle (in quel 2018 primo partito col 33%) si potesse fare. E’ stata una delusione. Torno a scrivere, a raccontare quel che altri non vedono o non vogliono vedere. Torno in tv come opinionista. Con le mie idee, ma senza una casacca (sebbene di quella casacca sono stato il sarto).

 

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