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Expo 2030, guelfi e ghibellini e l'interesse nazionale

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Augusto Minzolini
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C'è un meccanismo perverso che purtroppo caratterizza questo Paese. Non appartiene solo alla classe dirigente, ma anche ad un certo tipo di opinione pubblica incline a dividersi tra Guelfi e Ghibellini anche quando non è il caso. La fotografia è nella reazione che c'è stata alla sconfitta della candidatura di Roma per l'Expo. Siamo arrivati ​​terzi dopo i petrodollari di Riad (119 voti) e i tecnodollari della città coreana Busan (29 preferenze). Abbiamo raccolto appena 17 voti. Ebbene, invece, di occuparci delle ragioni di una sconfitta tutti hanno cominciato a rinfacciare alle nostre istituzioni (dal governo al comune di Roma) la cocente umiliazione. Invece, una riflessione seria dovrebbe partire dalla constatazione che il nostro Paese, ancora una volta, non riesce a fare sistema. Su certi obiettivi che hanno una valenza internazionale, la partita dovrebbe essere giocata da tutti con la maglia nazionale. Dovrebbero tutti avere a cuore, al di là della retorica, l'interesse generale del Paese. E magari, il giorno dopo, non rinfacciarsi il fallimento ma interrogarsi sul perchè.

 

 

E il primo tra i «perché» è che la sfida per l'Expo, purtroppo, è stata giocata sempre in chiave interna. L'ex-sindaca di Roma, la grillina Raggi, la tirò fuori per far dimenticare durante la campagna elettorale per il Campidoglio la brutta parata di qualche anno prima, quando per dare fiato al populismo i 5stelle aveva ritirato Roma della corsa per l'organizzazione delle olimpiadi. Quindi, già una candidatura che nasce per cancellare un errore e come espediente in chiave elettorale non parte con il piede giusto. L'allora premier Draghi è riuscito lontano a condividere a tutti i candidati al Comune di allora (Gualtieri, Raggi, Michetti, e Calenda) l'obiettivo. Poi, ci fu il cambio di governo e la Meloni ereditò il dossier: quindi la gestione della corsa alla candidatura ha avuto tanti padri e madri un dato che, ovviamente, ha creato problemi di continuità di gestione. 

 

 

Soprattutto, è mancata un'iniziativa da parte di tutte le anime del Paese nei confronti di Bruxelles per trasformare l'ipotesi di Roma in una proposta europea. Il dato più fastidioso della votazione di ieri, infatti, è che la candidatura italiana non ha avuto il voto neppure di tutti e 27 i paesi della UE. Ma se anche su una candidatura all'Expo l'Europa riesce ad avere una posizione unitaria, c'è da chiedersi davvero di che unione stiamo parlando. Tanto più che il primo Paese che ha rotto il fronte europeo è stata la Francia che unilateralmente si è schierata per Riad. Qualcuno sostiene che l'atteggiamento di Macron sia stato determinato dai cattivi rapporti che all'epoca aveva con la Meloni. Ma se anche fosse fondata simile versione, è evidente che tutti i partiti italiani avrebbero dovuto fare pressione sull'Eliseo per rammentargli un minimo di solidarietà europea. Invece, nulla: la candidatura di Roma è andata avanti per inerzia, senza nessuna impennata o mobilitazione nazionale. Come se fosse la candidatura di tutti e di nessuno. In realtà, a pensarci bene, sarebbe bastato che fosse la candidatura di un intero Paese.

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