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Ue come Draghi, affondo di Paragone: non è legittimata dal voto popolare

Gianluigi Paragone
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 Ogni volta che Mario Draghi parla, nelle redazioni dei giornaloni parte la gara a chi per primo commenta il suo verbo, a chi ne osanna le visioni, le prospettive. Mario Draghi può contare, come pochissimi altri, in una schiera di commentatori e analisti sempre pronti (e anche un po’ proni) all’elogio del Banchiere centrale prestato alla politica. Del resto era stato così anche nel pezzo di legislatura, la diciottesima, dove SuperMario fu chiamato come (ennesimo) salvatore di una Patria indietro coi compiti assegnati. Finì come sappiamo: l’agenda cominciò a diventare un abito stretto e soprattutto al diretto interessato non riuscì l’obiettivo che più gli interessava, cioé l’elezione a Presidente della Repubblica. Poveretto, l’unica volta dove gli è toccato passare da un voto un po’ più largo di un cda o di un club di banchieri, gli è andata malissimo. E questo è il grande controsenso di un burocrate acclamato che si erge a leader politico ma che fa fatica a misurarsi con una delle regole più scontate della democrazia: il consenso popolare, il voto.

 

Forse è per questo che spera in un altro incarico con l’uniforme europea, che guarda caso difetta di quella diretta connessione tra mandato elettorale e responsabilità di... comando. Così, Mario Draghi ha gioco facile nel disegnare sotto le insegne del Global Boardroom del Financial Times - i soliti scenari futuri, sulla competitività perduta dell’Europa rispetto al nuovo mondo multipolare dove Stati Uniti, Cina, Giappone, Corea del Sud corrono e i Brics spingono per avere un posto che conta. Draghi sferza sulle sfide geopolitiche, sulle difficoltà economiche, sugli scenari di guerra come sul gap digitale. Sembra che solo lui conosca la rotta per uscire dalle secche. Innanzitutto morali, perché «abbiamo accettato la Russia nel G8 anche se non aveva accettato la sovranità dell’Ucraina, poi in Siria non abbiamo mantenuto la promessa che saremmo intervenuti se Bashar al-Assad avesse usato le armi chimiche, quindi abbiamo avuto la Crimea e il ritiro dall’Afghanistan».

«La lezione è che non dovremmo mai fare compromessi sui valori fondamentali di pace, democrazia, libertà, sovranità. Se lo facciamo, si mettono in discussione le premesse dell’Unione europea». Una Unione Europea che però difetta di una Costituzione comune e pure di un mandato popolare vero. Un po’ come Mario Draghi, anzi SuperMario. L’Eletto senza voti.

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