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Pd, pure L'Unità lo attacca. Il giornale di Sansonetti demolisce Schlein

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Pietro De Leo
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Che botta tremenda! Basterebbe questo per fotografare il senso del fondo de L’Unità di ieri, con cui il direttore Piero Sansonetti stronca, demolisce, sminuzza il Pd a guida Elly Schlein. Un testo pesantissimo e molto proiettato sulla realtà, soprattutto quando accusa i dem di non essere calati nella complessità della storia, specie nella turbolenta fase che stiamo attraversando con il riacutizzarsi della crisi medio orientale, con tutto ciò che è in ballo, tra i diritti dei palestinesi, di Israele, e ancora l’antisemitismo e l’anti-islamismo. Sansonetti non tace nulla sulla difficoltà dello scenario, e poi aggiunge: «Di fronte a tutto questo il Pd ha scelto la sua linea: il silenzio.

 

 

Silenzio assoluto. Una linea molto simile a quella che ha tenuto sulla scuola, sul welfare, sulla giustizia, sulla sanità, sull'accoglienza ai migranti, sul fisco». Insomma, un partito, che lui definisce quello «più ricco di cultura, di sapere, di eredità» ridotto «a una ameba. Al nulla del nulla». Una radiografia impietosa che non risparmia, logicamente, la segretaria Elly Schlein, definita da Sansonetti una «parlamentare priva di storia politica, di esperienza e di conoscenza politica, del tutto estranea alla vita del partito, e che fino a questo momento si è mostrata incapace di esprimere una qualsiasi linea politica». E affonda: «Nessuno riesce neppure a immaginare quale idea di paese abbia l'onorevole Schlein, né tantomeno quali siano le battaglie che intende aprire, e con quali alleanze».

 

 

Al di là del pericolo di svolta reazionaria che lui intravvede rispetto alle politiche del governo, certamente allarmistica, c’è un punto vero che il direttore de L’Unità affronta, ed è la necessità, per una democrazia compiuta, di poter contare anche su una solida «gamba» dell’opposizione. È una constatazione, questa, che chiama il Pd alla presa di coscienza del proprio ruolo nel quadro politico del Paese, e a costruire una seria visione del Paese. E se la leadership Schlein non funziona, ancor peggio va per la sua squadra, definita «un piccolo circolo, forse volenteroso, ma del tutto inadeguato, da ogni punto di vista, a guidare un partito, tanto più a guidare il più grande partito dell'opposizione».

 

 

Dunque, leniniamente parlando, «che fare»? Sansonetti sottolinea l’urgenza di un «gesto di grande responsabilità. Da parte della segretaria e da parte dei vari dirigenti e delle tante anime del partito. Non c'è tempo da perdere». Quale sia questo gesto Sansonetti non lo scrive, ma è facilmente intuibile considerando le premesse. Questo editoriale, al di là del contenuto, segna un passaggio, se vogliamo, culturale. Il partito erede del PCI, di fatto, al momento «perde» il suo quotidiano di riferimento. Per quanto non sia più, va detto, un quotidiano di partito in senso stretto, ma sia edito da un editore impuro. Questo è marginale, però, rispetto alla grande portata che ciò comporta nella tradizione della sinistra. Evidentemente, non era sufficiente aver già perduto la classe operaia.

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