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La sinistra non sa più come attaccare il governo Meloni e agita lo spread

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Christian Campigli
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Un bieco tentativo di creare ansia, apprensione e paura negli italiani meno istruiti sulle complesse dinamiche finanziarie internazionali. Fallita miseramente la favoletta del ritorno della dittatura fascista, del pericolo per la libertà di espressione e di pensiero, la sinistra nostrana, priva di idee e di proposte concrete, cerca di cavalcare un nuovo filone. Quello dello spread, ovvero il differenziale tra il rendimento dei buoni del Tesoro italiani e quelli tedeschi. Un parametro importante che, se analizzato insieme ad altri dieci, quindici flussi di sistema può misurare la temperatura della nostra economia. Come dire, preso da solo, senza contestualizzarlo, in realtà dice poco o nulla. Ma questo, ovviamente, i soloni progressisti (pur sapendolo) non lo specificano mai. Al contrario, ieri i «giornaloni» di sinistra, quelli per intendersi che lo scorso febbraio avevano dipinto come «il ritorno delle camicie nere» una banale scazzottata tra alcuni attivisti di destra e altri rappresentanti dei Collettivi di sinistra di fronte al liceo classico Michelangiolo, a Firenze, hanno usato toni apocalittici. Una persona sprovvista di nozioni di scienze finanziarie, alla lettura di certi articoli, non avrebbe potuto avere altra reazione se non l'aumento dei battiti del cuore. Chiunque si sarebbe posto domande elementari.

«Che ne sarà dei miei risparmi?», oppure «La rata del mio mutuo triplicherà?», o ancora «Quanti dipendenti pubblici verranno licenziati per mancanza di fondi?». Interrogativi legittimi, sia ben chiaro, per chi trova ostiche certe materie. Dubbi creati ad hoc per instillare il dubbio nel governo Meloni e nella sua tenuta. Un giochino subdolo, giocato sulla pelle degli Italiani. E per altro neppure nuovo. In realtà, si tratta della brutta copia di quello che, molti analisti, considerano un vero e proprio golpe: quello che nel 2011 obbligò alle dimissioni di Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio. Dodici anni fa lo spread aveva toccato i cinquecento punti base e tutti i giorni, in ogni talk televisivo, il messaggio lanciato era sempre lo stesso: l'Italia è ad un passo dal fallimento e dal default. Uno dei più importanti giornali economici, il 10 novembre, titolava, in prima pagina, una frase diventata il simbolo di quella nefasta stagione politica: «Fate presto». Oggi siamo sotto i duecento punti, ovvero meno rispetto a quando, a Palazzo Chigi, c'era un uomo che, certamente, conosce le dinamiche finanziarie come pochi altri nel nostro Paese: Mario Draghi. Tra giugno e luglio del 2022, il differenziale Btp-Bund si era attestato oltre i duecento punti toccando un massimo a duecentoquarantasei il 13 giugno e fissandosi a duecentotrentasette punti il 21 luglio. Oggi, pur dovendo sottolineare un'impennata di venti punti nel mese di settembre (da centosettanta a centonovantadue), viviamo una realtà che merita sì attenzione, ma che non può, in alcun modo, essere definita «pericolosa per i nostri risparmi». Il centrodestra, consapevole della sceneggiata messa in piedi dalla sinistra, ha deciso di non restare in silenzio. Ma, al contrario, di rilanciare. «Questa preoccupazione la vedo soprattutto nei desideri di chi immagina che un governo democraticamente eletto che sta facendo il suo lavoro che ha stabilità e una maggioranza forte, debba andare a casa per essere sostituito da un governo che nessuno ha scelto - ha sottolineato il premier Giorgia Meloni - A me diverte molto il dibattito, già si fanno i nomi dei ministri e dei governi tecnici. I soliti noti vorrebbero il governo tecnico e la sinistra ha già la lista ministri. Temo che questa speranza non si tradurrà in una realtà, l’Italia rimane solida e ha una previsione di crescita superiore alla media europea anche per il prossimo anno, superiore alla Francia e alla Germania. Ma il governo tecnico da chi dovrebbe essere sostenuto, da quelli del superbonus?».

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