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Migranti, si è stufato anche Mattarella: lo schiaffo alla Germania

Pietro De Leo
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Sergio Mattarella è tornato a parlare di immigrazione e lo ha fatto ad Enna, in una conferenza stampa congiunta con il suo omologo tedesco, Frank Steinmeier. Il Capo dello Stato si è soffermato sulle norme di Dublino, definite «preistoria», visto che «appartengono ad un mondo che non c’è più. Voler regolare il fenomeno migratorio facendo riferimento agli accordi di Dublino -ha osservato il Presidente della Repubblica- è come dire realizziamo la comunicazione in Europa con le carrozze a cavalli».

Rafforzando il concetto, ha scandito: «Era un altro mondo, è come fare un salto nel pleistocene, in un’altra era storica o zoologica, è proprio una cosa fuori dalla realtà». Il Presidente della Repubblica ha poi invocato «soluzioni europee, perché» il dossier dei flussi irregolari «è un problema che non può essere affrontato da un Paese solo, neppure il più grande». E ha aggiunto che «i 10 punti di von der Leyen sono interessant», riferendosi a quel decalogo di proposte che la Presidente della Commissione Europea ha messo sul tavolo in occasione della sua "calata" a Lampedusa, qualche giorno fa, insieme alla premier italiana Giorgia Meloni.

 

Esistono alcuni contenuti politici che, senza lavorare troppo di esegesi, si possono estrapolare dalle parole di Mattarella. Il primo è lo sprone all’Europa, che di fatto collima con la posizione espressa dal governo italiano. Mattarella non è certo una figura culturalmente affine al governo di centrodestra, ma i suoi pronunciamenti sul tema migratorio nei momenti in cui le criticità raggiungono intensità massima, ne avvalorano i profili di questione di nazionale, al di là degli steccati e delle visioni contrapposte. Questo accadde già nei giorni successivi la strage di Cutro, quando l’inquilino del Colle rivolse un richiamo all’Unione Europea affinché mettesse in campo delle politiche di sistema. Lo fa adesso, di fronte al caos di Lampedusa. Sarebbe bene che a questa postura guardasse il centrosinistra, in particolare il Pd, chino sulla missione impossibile di contrapposizione al governo sulla gestione dei flussi quando deve fare i conti con la propria storia recente: per anni, infatti, ha predicato l’accoglienza illimitata realizzando tutti i "pull factor" possibili, sia sul piano normativo che su quello dei messaggi pubblici. Ma c’è un altro aspetto rilevante nelle parole di Mattarella, e riguardano il suo interlocutore immediato, che era lì con lui, il Presidente della Repubblica federale tedesca Steinmeier. Proprio sulle regole di Dublino, infatti, nei giorni immediatamente precedenti l’enorme afflusso su Lampedusa, si è creata una frizione con la Germania. Berlino, infatti, ha chiuso la porta ai ricollocamenti dall’Italia perché il Belpaese non riaccoglie i cosiddetti "dublinati".

La questione sembra tecnica, ma in realtà è anche molto politica. Secondo il trattato di Dublino, infatti, le verifiche per i presupposti dell’asilo politico devono avvenire nel Paese di primo ingresso, che nella rotta mediterranea centrale è l’Italia. Una situazione che diventa difficilmente sostenibile, considerando le tempistiche per il vaglio della domanda, quando l’afflusso è molto consistente.

 

Mattarella ha segnalato anche l’inattualità storica di tutto questo. Un inquadramento normativo che, infatti, valeva a cavallo del passaggio tra i due millenni non vale più oggi, epoca in cui il Nord Africa (Libia in particolare) non esercita più quel ruolo di argine alle partenze a lungo incarnato. E non va dimenticato che sui flussi migratori convergono una molteplicità di elementi acceleratori: instabilità politiche che sfociano in una molteplicità di colpi di Stato, crisi economiche, arretratezze endemiche, e (è opportuno ricordarlo) qualche attore egemonico che ha tutto l’interesse nel trasformare i flussi come arma geopolitica. Mattarella, con le sue parole, si è pronunciato in un’ottica di sistequell’ingranagma -Paese, gio virtuoso in cui ogni attore in campo dovrebbe rifuggire dalla demagogia.

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