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Cgil, doppia morale di Landini: "Portavoce cacciato? No, riorganizzazione"

Gianni Di Capua
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Chissà quante volte durante la sua carriera da sindacalista Maurizio Landini si è dovuto sentir dire che i licenziamenti a cui lui si opponeva erano «una semplice riorganizzazione». Nessuno però poteva pensare che lo stesso Landini, ora diventato segretario generale della Cgil, avrebbe usato la stessa formula per giustificare il licenziamento di uno dei collaboratori storici del sindacato. Massimo Gibelli, 64 anni, torinese, un passato da socialista era in Cgil dal lontano 1983. Attualmente ricopriva l’incarico di portavoce del segretario prima di essere licenziato con una lettera del 4 luglio in cui il segretario organizzativo Luigi Giove gli comunicava che sarebbe stato il suo «ultimo giorno di lavoro». Un licenziamento per «giustificato motivo oggettivo» visto che il segretario ha «l’abitudine e propensione a intrattenere direttamente i rapporti con i media». Un taglio reso possibile dal Jobs Act che ha messo definitivamente fine alla distinzione fra aziende e sindacati. Infatti prima i sindacati potevano aggirare l’articolo 18 in una serie di casi, evitando di subire un provvedimento del giudice che, dando ragione ai lavoratori, potevano reintegrarlo.

 

 

Un indebolimento delle tutele dei lavoratori contro cui Maurizio Landini si è battuto da sempre fin dall’epoca in cui era il numero uno della Fiom. Ora però replica alle accuse dichiarando che il Jobs act «non c’entra nulla» con il licenziamento di Massimo Gibelli. Gibelli «era assunto dal 2012, il Jobs Act non c’entra assolutamente nulla», ha spiegato il numero uno di Corso d’Italia.
«Noi abbiamo previsto una riorganizzazione che ha previsto che la figura del portavoce non esista più. Accanto a me di altri portavoce non ne vedete, perché è un lusso che non possiamo permetterci. Siamo un’organizzazione che vive sul contributo economico degli iscritti e dobbiamo avere attenzione su come spendiamo i nostri soldi. Non c’è altra operazione che questa». Per cui, a suo parere, non ci sarebbe alcuna contraddizione nella battaglia che sta portando avanti contro la misura varata dal governo Renzi.

 

 

E infatti lancia l’idea del referendum. «Stiamo ragionando sulla possibilità di utilizzare anche lo strumento del referendum, dovremo decidere quali strumenti utilizzare non escludendo anche proposte di iniziativa popolare per indicare non solo quello che secondo noi va cancellato, ma anche quello che per noi va introdotto con nuova legislazione in tema di lavoro» ha dichiarato Landini. Chissà se fra i firmatari del referendum ci sarà anche lo storico portavoce del più grande sindacato italiano messo alla porta grazie al Jobs Act proprio dal segretario che si sta battendo per cancellarlo. Sarebbe una storia incredibile un po’ come lo è quella del sindacalista che licenzia un lavoratore utilizzando una formula che è più da capitano di impresa che da difensore dei diritti di chi lavora.

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