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Migranti, la doppia morale della Francia. Parigi accusò Meloni: “Incapace e disumana”

Pietro De Leo
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E mica giunge inaspettato il rapporto di Medici Senza Frontiere sulle modalità non proprio urbane con cui la Francia gestisce i flussi migratori al confine con l’Italia. Il tema va avanti da anni, nonostante, però, da Parigi arrivino continuamente strali sul modo in cui l’Italia affronta il dossier. «Meloni fa tanta demagogia sull’immigrazione clandestina: la sua politica è ingiusta, disumana e inefficace», ebbe a dire, qualche mese fa, Stephane Sejourne, numero uno di Reinassance, partito di Emmanuel Macron. Così come fu molto dura la presa di posizione del ministro dell’interno Gerald Darmanin, che accusò la premier italiana di essere «incapace di risolvere i problemi migratori per i quali è stata eletta». Parole talmente dure che il ministro degli Esteri Antonio Tajani annullò una trasferta a Parigi dove avrebbe dovuto incontrarsi con la sua omologa Catherine Colonna. Che dire, poi, di quel che accadde proprio quando il governo Meloni stava per nascere? Laurence Boone, ministro degli affari europei, disse: «Vogliamo lavorare con Roma, ma vigileremo sul rispetto di diritti e libertà». Parole sovrapponibili a quelle pronunciate dalla premier francese Elizabeth Borne, quando all’indomani della vittoria elettorale del centrodestra italiano assicurava che la Francia sarebbe stata «attenta al rispetto dei diritti umani» nel Belpaese.

 

 

Certo che questa vocazione alla vigilanza in casa altrui suona paradossale se leggiamo i contenuti del documento di Msf, specie nel passaggio in cui si riferisce di persone «detenute arbitrariamente dalla polizia francese e trattenute in container durante la notte, in condizioni di promiscuità e senza alcuna protezione specifica per donne e minori». E però questo non è un fatto di oggi, perché il doppio binario francese sul tema migratorio è ben noto. Inflessibili e accusatori verso il governo italiano, alquanto disinvolti nella pratica domestica. Si ricorda, per esempio, quanto accadde all’epoca in cui Matteo Salvini era ministro dell’Interno e il dibattito, sia a livello italiano che nel contesto europeo, si polarizzò molto sul tema migratorio. Salvini cominciò a negare i permessi di sbarco. Da Parigi, Macron parlava di «forma di cinismo ed irresponsabilità» mentre il portavoce del suo partito accusava l’allora ministro dell’Interno italiano di tenere una posizione «da vomitare». E però, già a quei tempi (parliamo del 2018) era già nutrita la casistica delle iniziative di Parigi non proprio ligie al rispetto dei diritti.

 

 

Nel marzo di quell’anno, infatti, cinque agenti francesi oltrepassarono il confine italiano senza alcuna autorizzazione e piombarono nei locali utilizzati da una ong all’interno della stazione cittadina, e lì costrinsero un immigrato, sospettato di essere uno spacciatore, a sottoporsi al test delle urine. Ma la frontiera tra Italia e Francia era stata già teatro di episodi non certo ecomiabili. Salì agli onori delle cronache, per esempio, un video realizzato da un gruppo di studenti in cui si vede una donna africana, incinta, mentre viene fatta scendere da un treno a Mentone dai gendarmi, non proprio con delicatezza. E ancora, si ricorda come sempre quell’anno una donna incinta, affetta da linfoma, fosse stata respinta al confine di Bardonecchia. Poi, dopo il parto cesareo, morì all’ospedale di Torino. Vicende che dimostrano un complesso di superiorità vocato però alla doppia morale.

 

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