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Con il Twiga-gate la sorte del Terzo polo è segnata: coalizione senza speranza

Cicisbeo
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Ci mancava il Twiga-gate a seminare altra zizzania nel terzo polo, già dilaniato al suo interno per una corrispondenza di amorosi sensi mai veramente sbocciata tra Renzi e Calenda e ora diviso anche dalle frequentazioni estive dei suoi parlamentari, per cui si può ormai parlare di una sorta di polo balneare pronto a squagliarsi nella calura di Ferragosto. Il derby tra il fortino calendiano di Capalbio e il Forte quello vero, ossia dei Marmi, promette nuove partite entusiasmanti a base di sushi, bollicine e anatemi come quello lanciato dal capitano di Azione in veste di tutore etico della coalizione una volta appreso della cena delle beffe consumata da tre temerari renziani al desco versiliano della Santanchè: «O tempora, o mores» ha gridato nella sua prima, appassionata orazione dalla spiaggia che un tempo fu il tempio prediletto per gli ozi agostani della sinistra chic.

 

Perbacco, c’è un limite a tutto! Passi non pronunciare mai in Senato la parola «dimissioni» nei confronti di una ministra indagata, ma incrociare addirittura le forchette con la reietta è troppo, si sarà detto, in base a un codice etico scritto in tutta fretta scopiazzando un po’ Savonarola e un po’ Grillo. E infatti la controffensiva renziana, affidata a un cinguettio dell’onorevole Bonifazi, proprio su questo ha puntato, aggrappandosi ai principi liberali calpestati da «un uomo che sogna uno Stato etico».

 

L’accusa al Carlo-Cicerone è manifesta: quella di attaccare ogni giorno i populisti per poi ricalcarne le orme, accodandosi a chi chiede la testa di un ministro per un avviso di garanzia. Il carico da novanta ce lo ha messo poi Renzi: «Questa storia ricorda quello che facevano i grillini prima maniera, e parafrasando Pasolini parlerei di grillismo degli antigrillini». Et voilà: mentre sull’Italia sta per piombare il ciclone Circe, che porterà temporali e fenomeni intensi, il cambiamento climatico nel terzo polo segna sempre più, invece, l’ebollizione globale, tanto che viene il sospetto che l’Onu l’abbia proclamata pensando soprattutto ai rapporti incandescenti tra Azione e Italia Twiga. Calenda si è appellato a una questione di opportunità politica, insinuando che l’attovagliamento nel locale di Briatore sia solo l’antipasto di un pranzo di gala politico, ma ha proprio sbagliato bersaglio, prima di tutto perché ognuno, parlamentare o meno, ha diritto di mettersi a tavola con chi vuole, senza distinzione di sesso, di religione, di appartenenza politica né, tantomeno, di situazione giudiziaria. E poi perché le liste di proscrizione in base agli avvisi di garanzia non sono compatibili con chi si autoproclama liberale: non dimentichiamoci i tempi in cui gli indagati eccellenti non potevano neppure entrare in un ristorante per non subire la reazione indignata dei commensali perbenisti.

Detto questo, dopo il Twiga-gate la sorte del terzo polo sembra davvero segnata: separati da mesi in casa, Renzi e Calenda sono come due parenti stretti che litigano perfino su dove andare al ristorante, e la lista unitaria Renew Europe sembra ormai un miraggio, una stella cadente da scrutare nella notte di San Lorenzo. Ma resta un problema esistenziale a dividere calendiani e renziani: si vedrà meglio dal Forte o da Capalbio? 

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