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Governo, rivendicazione di Ferro: “Il patto migranti è merito nostro, abbiamo convinto tutti”

Dario Martini
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Wanda Ferro, sottosegretaria all’Interno, spiega per quale motivo il patto sui migranti siglato in sede europea sia da considerarsi un successo del governo italiano. Il motivo principale? Gli altri Paesi hanno preso atto del fatto che «le frontiere italiane sono da considerarsi frontiere europee».

Il nuovo patto su immigrazione e asilo sancisce il principio di obbligo di solidarietà, che però non coincide con un obbligo ai ricollocamenti. Non è un accordo al ribasso?
«Come è naturale in un negoziato molto complesso è stato trovato un punto di equilibrio tra le varie posizioni, ma non è un accordo al ribasso perché per la prima volta, grazie al lavoro del presidente Giorgia Meloni e del ministro Matteo Piantedosi e al grande gioco di squadra con i nostri partner mediterranei, la solidarietà diventa un obbligo giuridico permanente, sancito in un regolamento europeo, e non più una concessione temporanea. Nella sostanza è passata la linea del governo italiano su cui c’è stata la convergenza di tutti i Paesi che avevano fatto un blocco. Si è preso atto che le frontiere italiane sono frontiere europee. Tutti i Paesi dell’Unione dovranno offrire solidarietà secondo un criterio di equità che terrà conto del Pil e della popolazione, un obbligo che dovrà concretizzarsi in almeno 30 mila redistribuzioni ogni anno, e tra questi anche i migranti economici e non solo i rifugiati, mentre il Paese di destinazione non potrà più scegliere a propria discrezione chi accettare e chi no. C’è da dire che le 30 mila redistribuzioni rappresentano soltanto una base di partenza, perché di anno in anno si potrà andare aumentare considerevolmente il numero sulla base di un’analisi della Commissione europea delle condizioni dei flussi e delle richieste di solidarietà degli Stati sotto pressione, come appunto l’Italia. E se le ricollocazioni offerte non raggiungeranno la soglia minima, l’Italia avrà diritto a chiedere a titolo di compensazione l’interruzione dei trasferimenti dei cosiddetti Dublinanti. La cosa più importante è che abbiamo scongiurato l'ipotesi che l'Italia venisse pagata per diventare l’hotspot d’Europa e mantenere i migranti irregolari sul proprio territorio. Il tema cruciale è il controllo della dimensione esterna, per cui abbiamo chiesto e ottenuto la creazione di un nuovo fondo europeo gestito dalla Commissione per i paesi di origine e transito dei flussi, concretizzando per la prima volta in un atto dell’Unione europea la linea sostenuta dal governo Meloni fin dal suo insediamento».

 



Si prevede di poter rimpatriare i migranti anche nei Paesi di transito, ma devono essere «sicuri». Molti però, come la Libia, non lo sono. Come ovviare a questo problema?
«Chiariamo che non potranno mai esservi accordi con Paesi insicuri o che non rispettano i diritti umani. Per l’applicazione della clausola del Paese terzo sicuro, saranno gli Stati membri a stabilire se il collegamento tra richiedente asilo e Paese terzo sia ragionevole, fermi restando tutti gli obblighi derivanti dal diritto internazionale ed europeo. Siamo riusciti ad ottenere un quadro giuridico di riferimento, conservando la flessibilità necessaria per rafforzare e ampliare i partenariati in materia di gestione dei flussi».

In che modo l'esame delle richieste di asilo sarà più veloce ed efficiente?
«Con il Patto abbiamo ottenuto la creazione di un sistema efficace di controllo europeo delle frontiere esterne, basato su una registrazione degli ingressi, su uno screening sistematico di sicurezza dei migranti irregolari e su procedure accelerate di asilo e rimpatrio in frontiera. Le richieste di asilo dovranno essere evase entro 12 settimane, e viene istituito un percorso rapido per le domande di migranti con scarsa possibilità di essere accolti, ad esempio quelli che non provengono da paesi in guerra. L’Italia ha tracciato la linea con le misure introdotte con il decreto Cutro, e l’Unione europea ha recepito la necessità di procedure più efficienti e modulabili sulle effettive capacità di accoglienza del paese di approdo. Anche per questo abbiamo ottenuto un piano di finanziamenti straordinario, che andrà ad implementare le risorse già esistenti, per il rafforzamento delle strutture logistiche e dei sistemi di asilo dei Paesi di primo ingresso più esposti alla pressione migratoria».

Priorità dell'Italia è fermare le partenze. Su questo punto però al momento non sono previste operazioni congiunte europee nel Mediterraneo...
«Le numerose missioni internazionali del presidente Meloni nei Paesi del Nord Africa è diretta proprio ad arginare il fenomeno migratorio. È evidente che la stabilizzazione dell’area è imprescindibile per evitare un aumento incontrollato dei flussi e per creare le condizioni di sicurezza necessarie per realizzare quello che definiamo il "piano Mattei" per l’Africa, una cooperazione non predatoria che aiuti lo sviluppo di quei paesi e che dia opportunità anche all’Italia soprattutto nel settore energetico. Un eventuale crollo finanziario della Tunisia, che è già diventato il primo Paese di partenza dei migranti diretti Italia, rischierebbe di avere ripercussioni devastanti non solo su quella popolazione ma sull’intera area del Mediterraneo».

 



Polonia e Ungheria si sono opposte, pensate sia possibile ricucire?
«Nell’Unione europea c’è stato finalmente un cambio di priorità e una assunzione di responsabilità. È comprensibile che ci siano delle resistenze, tutti i governi - e non solo Polonia e Ungheria - hanno necessità di confrontarsi con l’opinione pubblica, ma l’accordo rappresenta un passo in avanti, ci sono certamente i margini per una maggiore condivisione, considerando che il tema principale è quello del controllo dei movimenti primari, da cui dipendono quelli secondari».

Prima che questo Patto diventi operativo passeranno mesi (dovrà essere approvato dal Parlamento europeo). Intanto cosa farà il governo per arginare gli sbarchi che si prevedono molto numerosi questa estate?
«È un segnale incoraggiante la riduzione degli arrivi di migranti irregolari nel mese di maggio ma teniamo alta l’attenzione e soprattutto intensificando la cooperazione nella prevenzione delle partenze. Stiamo collaborando con i Paesi da cui partono i flussi potenziando la loro capacità di controllo delle frontiere marittime e di contrasto ai trafficanti. In particolare siamo supportando le autorità tunisine nelle attività di prevenzione in particolare nella regione di Sfax, da cui partono la maggior parte dei barconi. È un’azione di breve termine che sta dando dei risultati, ma nel lungo periodo è cruciale stabilizzare la sponda sud del Mediterraneo e lavorare per creare sviluppo in Africa e garantire il diritto a non emigrare. Per questo il presidente Meloni è intervenuto nei consessi internazionali come il G7 per sensibilizzare gli altri Stati e il Fondo monetario internazionale a non abbandonare la Tunisia al proprio destino». 

 

 

Domani Meloni andrà di nuovo in Tunisia con voi der Leyen. È il segnale che la questione tunisina potrà essere davvero risolta?
«L'incontro con il presidente Saied e la presidente von der Leyen dimostra l’importanza del lavoro che il presidente Meloni sta facendo per arrivare allo sblocco dello stallo nei finanziamenti del Fmi alla Tunisia, indispensabile al superamento della crisi finanziaria del Paese. Il coinvolgimento della presidente della Commissione è la prova di una nuova rotta delle relazioni dell’Europa con l’Africa, che punta ad una effettiva cooperazione per lo sviluppo che consenta di contenere la migrazione incontrollata».

Come sta l'equipaggio della nave turca sequestrata dai migranti? Ci può dire esattamente come sono andati i fatti?
«L’operazione è l’ennesima dimostrazione della grande capacità e professionalità delle forze armate. Al largo del golfo di Napoli i marò della Brigata San Marco si sono calati sulla nave con la tecnica detta "del barbettone" e ne hanno preso il controllo. Una volta portata in sicurezza la nave sono intervenute la Polizia e la Guardia di Finanza che, cooperando con grande efficacia, hanno individuato e fermato i clandestini che si erano nascosti a bordo. Pronti anche ad intervenire su un altro elicottero gli incursori del Comsubin, proprio quelli finiti sotto le critiche farneticanti della sinistra per il saluto alle autorità durante la parata del 2 giugno. L’Italia è invece orgogliosa di questi reparti specializzati, delle vere e proprie élite militari, che hanno la capacità di intervenire negli scenari più complessi anche con minimo preavviso, dimostrando straordinaria capacità operativa e una buona dose di coraggio».

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