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Il gay pride di Roma diventa un corteo anti-governo. La Regione Lazio: via il patrocinio

Dario Martini
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La Regione Lazio guidata da Francesco Rocca aveva dato il suo patrocinio al Roma Pride. Non aveva motivo di non farlo. L’obiettivo, condiviso, era quello di «promuovere una reale inclusione e combattere ogni forma di stigma e discriminazione». Le condizioni erano due: rispettare le sensibilità di tutti i cittadini e astenersi dal propagandare azioni illegali e vietate dall’ordinamento italiano. Sembrava tutto a posto. Il gay pride si sarebbe potuto tenere come ogni anno, poco importava se al posto di una giunta di centrosinistra ne fosse subentrata una di centrodestra. Poi, però, qualcosa è cambiato. Gli organizzatori hanno trasformato la marcia dell’orgoglio Lgbt in una manifestazione dichiaratamente anti-governativa. L’occasione giusta per farla diventare una crociata in favore dell’utero in affitto. La Regione non poteva accettarlo, così ha deciso di ritirare il proprio patrocinio all’evento in programma sabato 10 giugno a Roma con partenza alle 15 da piazza della Repubblica.

 

 

Per capire le motivazioni di questa decisione occorre concentrarsi su cosa è accaduto nelle ore immediatamente precedenti alla revoca del patrocinio. Il primo a strumentalizzare il sostegno della Regione Lazio è stato Mario Colamarino, presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli e portavoce del Roma Pride: «Apprezziamo che la Regione abbia deciso di sottrarsi alla trappola dei pregiudizi ideologici, prendendo di fatto le distanze politiche da quanti in Parlamento in questi giorni vorrebbero rendere la nascita delle nostre figlie e dei nostri figli reato universale, perseguendo la gestazione per altri anche se realizzata all’estero. Il patrocinio non è solo un atto formale ma comporta anche azioni concrete che speriamo durino tutto l’anno». Ovviamente, Rocca e la sua giunta non si sono mai dichiarati a favore della maternità surrogata, né tantomeno hanno preso le distanze dal progetto di legge in discussione alla Camera. Ma non finisce qui. Sul sito del Roma Pride è apparso un manifesto ideologico che prende di mira ancora più esplicitamente l’esecutivo. «Nel primo anno del governo Meloni - si legge nel documento - la comunità Queer ha subito molteplici attacchi. Dall’eliminazione dai registri degli istituti scolastici dei nomi delle persone transgender alla cancellazione dai registri comunali delle figlie e dei figli delle coppie omogenitoriali. Questi e non solo. Noi non abbiamo mai smesso di lottare. Nessun governo può fermarci». Il manifesto si conclude con una "chiamata alle armi": «Gridiamo a gran voce QueeResistenza».

 

 

Alla luce di tutto ciò, la Regione ritiene che «tali affermazioni violano le condizioni esplicitamente richieste per la concessione del patrocinio precedentemente accordato in buona fede da parte di Regione Lazio», perché «la firma istituzionale della Regione non può essere utilizzata a sostegno di manifestazioni volte a promuovere comportamenti illegali, con specifico riferimento alla pratica dell’utero in affitto». «Quanto avvenuto rappresenta un’occasione persa per costruire un dialogo maturo e scevro da ogni ideologia - conclude la Regione - per promuovere una reale inclusione e combattere ogni forma di discriminazione». La sinistra ha subito gridato allo scandalo. Il deputato Pd Alessandro Zan parla di «schizofrenia e odio» da parte della Regione Lazio, mentre la capogruppo alla Camera Chiara Braga lo definisce un «bruttissimo segnale». Il portavoce del Roma Pride si scaglia contro quelli che chiama «talebani cattolici», e promette: «Non toglieremo il logo della Regione dal sito». E l’ex governatore, Nicola Zingaretti, promette: «Sabato sarò al Pride di Roma come ho sempre fatto da presidente. Bisogna combattere chi nega i diritti». In piazza ci sarà anche il sindaco Roberto Gualtieri: «Il Roma Pride è una manifestazione importante per la comunità Lgbt+ e per chiunque combatta le discriminazioni. Per questo Roma Capitale ha assicurato il proprio patrocinio». Lapidaria la replica del vicepremier leader della Lega Matteo Salvini: «Sostegno alla propaganda dell’utero in affitto? No, grazie».

 

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