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Crisi energia, l'Ue ha sbagliato le previsioni e condannato tutti al salasso

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Per contrastare nell’Unione Europea lo choc esogeno provocato dalla guerra in Ucraina, «non c’è bisogno di uno stimolo economico» aggiuntivo, come un remake di Next Generation Eu. Meglio pensare a strumenti di bilancio «più mirati», per esempio nel campo della difesa. È il consiglio che la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha ricevuto il 18 marzo scorso, nel corso di una riunione in videoconferenza, da alcuni ascoltati consiglieri esterni, risulta da documenti ottenuti dall’Adnkronos mediante una domanda di accesso agli atti. È un parere che finora è stato seguito dalla Commissione e che contrasta con le richieste ventilate da Paesi del Sud, di valutare una riedizione del Recovery Plan, questa volta dedicato all’energia: i Paesi nordici finora si sono opposti, a partire da Olanda e Germania. L’ex presidente del Consiglio Mario Draghi, più realista, ha proposto una riedizione di Sure dedicata all’energia: è una proposta teoricamente più digeribile per alcune opinioni pubbliche, dato che il piano in sostegno dell’occupazione è fatto interamente di prestiti, che quindi vanno restituiti anche se sono a tassi di favore, e non anche di trasferimenti a fondo perduto, come Next Generation Eu. 

 

 

La Commissione ha mostrato aperture a questa ipotesi solo nelle ultime settimane, e solo dopo che i commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton sono usciti pubblicamente con un op-ed, chiedendo uno strumento basato sui prestiti, sul modello del piano Sure per sostenere l’occupazione. Von der Leyen ha partecipato alla riunione del 18 marzo scorso insieme a due membri del gabinetto, il consigliere per la comunicazione Jens Flosdorff e l’adviser per il digitale, Anthony Whelan. Alla videoconferenza erano presenti anche sei partecipanti esterni: uno svedese per Volvo (quella dei camion e degli autobus, non quella delle auto che si è separata dalla casa madre nel 1999), un danese per Siemens e un francese per Air Liquide. Si tratta dei tre presidenti Carl-Henric Svanberg (Volvo), Jim Hagemann-Snabe (Siemens) e Benoit Potier (Air Liquide), tutti membri dell’Ert. Hanno partecipato alla riunione anche tre economisti: un italiano (qualsiasi indizio sulla sua identità è coperto da omissis), una persona di nazionalità svizzera del Center for Economic Policy Research e un tedesco dell’Ifo di Monaco di Baviera (presieduto da Clemens Fuest).

 

 

Nel meeting si è parlato, in una «discussione aperta», anzitutto delle «sfide» derivanti dall’invasione russa dell’Ucraina. Gli ‘esterno’ hanno sottolineato, tra l’altro, «l’imperativo di accelerare la transizione energetica», come «avanzare nel processo di adesione all’Ue, rispettando le aspettative altrui, ad esempio dei Balcani Occidentali», che temevano di vedersi scavalcare da Kiev, «l’importanza di sanzioni coordinate con i partner per ottenere effetti di scala» ed un’equa «condivisione degli oneri». Hanno anche parlato di come «aiutare l’Ucraina: militarmente, ma anche con sanzioni, aiuti umanitari e sostegno macrofinanziario». I tre capitani d’industria e i tre economisti hanno anche parlato dei costi del sostegno a Kiev e di come ripartirli. Hanno sottolineato come gli effetti economici della guerra e delle sanzioni (si era a metà marzo) fossero «negativi» ma «limitati», avvertendo però che «sanzioni complete sull’energia» o «controsanzioni russe sull’energia» potrebbero avere «effetti di più vasta portata», una previsione che si è in seguito avverata. Hanno anche ventilato la «possibilità di un’imposta sulle importazioni di energia dalla Russia come primo passo». 

 

 

Economisti e capitani d’industria hanno suggerito di «focalizzare il sostegno ai prezzi dell’energia sui consumatori e sulle imprese più vulnerabili», dato che sconti fiscali generalizzati sull’energia «non sono mirati e creano grossi vantaggi per alcuni». Questa linea è analoga a quella poi seguita dalla Commissione. Non solo: per i consiglieri ‘esterno’ in Europa «non c’è bisogno di uno stimolo economico» dato da un «secondo Next Generation Eu». E «forse» è meglio usare «nuovi strumenti di bilancio più mirati», per esempio per gli «investimenti in sicurezza». I consiglieri hanno poi sottolineato l’importanza dell’«auto-sanzionamento da parte delle imprese», che tagliano i legami con Mosca anche per «motivi reputazionali». Mentre la Russia «non è un mercato chiave per la maggior parte delle imprese», ci sono comunque «molte questioni operative complicate per la sospensione delle attività» in Russia e per «l’uscita» dal Paese. Durante la riunione è stata rimarcata la «sfida» di mantenere le forniture di determinati «materiali critici», dei quali la Russia «domina» l’offerta. Ed è stato fatto notare che, se il Green Deal porterà «sicurezza energetica» nel «medio termine», c’è anche bisogno di «assicurarla a breve termine». Infine, è stato sottolineato che «migliori infrastrutture» sosterrebbero una produzione «più localizzata» di energia elettrica da fonti rinnovabili e di idrogeno verde.

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