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Conte, De Luca e Carfagna. Il partitone meridionale prima grana per Meloni

Carlantonio Solimene
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L’assicurazione sulla vita del governo Meloni sta tutta in un’opposizione mai così debole e frastagliata. Almeno fino ad oggi. Perché la cosiddetta «questione meridionale» ha per la prima volta portato sullo stesso lato della barricata leader e forze politiche diversissimi tra loro. Il «ras» della Campania Vincenzo De Luca guida la rivolta contro la riforma delle autonomie regionali così come tracciata dal ministro Roberto Calderoli. La neo presidente di Azione Mara Carfagna segue il governatore su questa strada e arriva a definire una «provocazione» la prima bozza della riforma. E poi c’è lui, Giuseppe Conte, che ieri ha ribadito i toni barricaderi contro la stretta sul reddito di cittadinanza che il governo inserirà nella manovra di bilancio e che al Sud ha già fortemente condizionato il voto del 25 settembre, rendendo il meridione l’area del Paese in cui il centrodestra si è affermato con meno nettezza.

Era un rischio di cui Giorgia Meloni era pienamente consapevole fin dalla campagna elettorale, quando si espose - unica finanche nella sua coalizione - sulla cancellazione del sussidio. Un atto di coerenza, il suo, eppure tremendamente scivoloso in un’area del Paese abituata, dagli ultimi governi, alla logica dell’assistenzialismo. Come se il riscatto dovesse passare necessariamente da bonus e aiuti e non, magari, dal lavoro e dal rilancio economico.

Che il tema fosse spinoso, poi, la premier lo aveva compreso ulteriormente nei giorni della fiducia alle Camere, quando le opposizioni le rinfacciarono di aver dedicato poche parole al Meridione e lei, sorpresa, ribattè di aver citato la possibilità di trasformare il Sud nell’hub energetico di tutta Europa e di puntare più che mai sullo sfruttamento delle risorse più importanti del mezzogiorno: coste e mare. Una scommessa, una vera e propria rivoluzione culturale di quelle che solitamente hanno bisogno di tempo per essere realizzate e comprese. Ma che, al primo tornante della legislatura, ha provocato un terremoto. De Luca rilascia interviste di fuoco contro il governo e valuta di candidarsi alle primarie del Pd. Conte si erge a «difensore dei poveri» e ormai non manca un evento con Landini & Co. Calenda, infine, sceglie Napoli per l’assemblea fondativa del suo partito e fa eleggere presidente la meridionalista Carfagna. È il primo nucleo di un potenziale asse politico che sfrutterà il 2023 per cominciare a dialogare e strutturarsi.

Su tutto il resto sono divisi: atlantismo, politiche energetiche, immigrazione, giustizia. Ma la nuova questione meridionale può rappresentare la piattaforma della nuova opposizione unitaria, assai più degli esiti dello stantìo congresso del Pd. L’orizzonte, neanche a dirlo, sono le Europee del 2024. Se per quella data il governo non sarà riuscito a declinare il suo messaggio in un linguaggio gradito anche al Mezzogiorno, l’esito delle urne potrebbe rivelare qualche cattiva sorpresa e rendere assai meno agevole il cammino nella seconda parte di legislatura.

Meloni, che di certo non è una sprovveduta, ha già tirato il freno alla riforma delle autonomie, chiarendo con gli alleati che deve andare di pari passo con le riforme costituzionali (presidenzialismo e poteri di Roma Capitale) e quindi rinviandone la concretizzazione almeno al 2024. Sul reddito di cittadinanza, invece, non ha ceduto ai compromessi. Di certo, l’inedita «cooperativa del Sud» nata a sinistra (ma anche in Forza Italia c’è un’ala sensibile a questi temi) rappresenta la prima vera grana arrivata dalle opposizioni. La partita comincia adesso. Vincerla non sarà facilissimo.
 

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