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Il Pd cerca il lodo salva-correnti

Carlantonio Solimene
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Un ticket per salvare capre e cavoli. Nel Partito democratico si fa un gran parlare di identità da ritrovare, di linea da scegliere, di alleanze da delineare. Ma, alla fine, il vero tema del prossimo congresso resta uno solo: come accontentare tutte le correnti del partito, al di là del nome del nuovo segretario. E così ha fatto piuttosto rumore la proposta avanzata da Andrea De Maria, esponente emiliano appena rieletto alla Camera: «Un mio auspicio personale: con Stefano Bonaccini candidato segretario, Elly Schlein sarebbe perfetta per un ticket. Come si è già fatto in Regione Emilia Romagna. Sarebbe un modo per contribuire davvero dalla nostra terra a una nuova stagione di rilancio e di rinnovamento del Pd e del centrosinistra».

In pratica, nel timore che vinca Bonaccini e che l’ala sinistra del partito decida di procedere a un’ennesima scissione temendo una nuova sterzata «renziana», gli si dovrebbe affiancare quella che è già la sua vicepresidente in Emilia Romagna, Elly Schlein. Che sarebbe la «garante» della sinistra. Così il Pd continuerebbe a non scegliere se essere radicale o liberale, ma tutte le varie correnti resterebbero rappresentate: i riformisti di Guerini, Area Dem di Guerini, i Dems di Orlando e via dicendo.

Perché, stringi stringi, anche la questione dei tempi del congresso è solo una battaglia di parte. Chi ha un candidato - come Guerini & Co che sostengono Bonaccini - spingono per organizzare la transizione al più presto, adducendo la scusa delle Regionali di marzo alle quali «dobbiamo presentarci già con la nuova classe dirigente». Chi invece un candidato spendibile non ce l’ha, come la sinistra - Schlein è forte sui diritti civili, ma fuori dall’Emilia la conoscono in pochi - si scaglia contro il congresso lampo accampando la motivazione che «non possiamo limitarci solo alla scelta di un nome, il partito va rifondato partendo dalle basi».

 

 

 

E così il povero Letta, strattonato da una parte e dall’altra, si trova a dover gestire una battaglia sulle regole e sui tempi prima ancora che sulle idee. Il segretario uscente, per portare i nodi allo scoperto, ha deciso che la Direzione di domani andrà interamente in streaming. Ma lui stesso sa per primo che l’ipotesi di un congresso in tempi brevi è praticamente impossibile. L’ultima volta, partendo dalle assisi locali e provinciali, ci vollero sei mesi per arrivare all’elezione di Zingaretti. Tanro che sono diversi quelli che chiedono una «prorogatio» dell’attuale segretario, almeno per gestire le Regionali. E nel frattempo il Pd dovrà contrastare l’offensiva su due fronti di M5S e Terzo polo. I grillini, che ieri hanno festeggiato il tredicesimo anniversario dalla fondazione, hanno capito che più stanno lontani dal Nazareno più crescono nei sondaggi. E così pianificano di mollare i Dem anche nelle imminenti regionali del Lazio, condannandoli alla sconfitta, mentre in Lombardia il loro apporto è pressoché nullo. Calenda e Renzi, invece, parlano due lingue diverse. L’ex segretario vorrebbe semplicemente distruggere i Dem, Carlo continua a ipotizzare un asse con loro a patto che mollino Conte.

Il risultato è che, in un partito che dovrebbe lavorare soprattutto sulla sua identità, il congresso rischia di trasformarsi nella semplice scelta sull’alleato a cui accodarsi e da cui farsi cannibalizzare. Un aspetto sottolineato con amarezza da un grande ex, Paolo Fioroni: «O ci sciogliamo nel calderone del populismo, sia pure ingentilito dall’eleganza di Conte, o ci rinsaldiamo nel riformismo attraverso un chiarimento di fondo con Calenda e Renzi. La novità che serve al Pd deve essere risolutiva: chiara nelle forme e precisa nei contenuti. Decidere di non decidere diventa la copertura all’istinto di autoconservazione di un gruppo dirigente. Non è un dibattito per tirare a campare, ma per tirare le cuoia». Difficile dirlo meglio di così.

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