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VIa il canone Rai, ecco la strategia della Lega in 5 punti per eliminare la tassa più odiata dagli italiani

Dalla riduzione dei canali alla vendita degli immobili: così Viale Mazzini può resistere senza l'abbonamento (secondo il Carroccio)

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E' stata la proposta choc di Salvini a Pontida: via il canone della Rai. Non solo dalla bolletta per l'elettricità, come l'Italia dovrà necessariamente fare dal prossimo anno a causa di bocciatura dell'Europa. Ma via del tutto: abolizione. Una trovata che, com'era lecito immaginarsi, ha fatto subito scattare la rivolta del sindacato interno di Viale Mazzini, l'Usigrai. E si capisce bene il perché: su un bilancio monstre da 2,7 miliardi di euro, il canone pagato dagli italiani ne copre ben 1,8. Senza quei soldi, insomma, la tv di Stato dovrebbe avviare una cura dimagrante piuttosto d'impatto.

Eppure per la Lega la proposta è fattibile. Anzi, può essere addirittura uno dei provvedimenti bandiera da portare nel primo Cdm. E a spiegarne i dettagli al Giornale è il deputato del Carroccio Alessandro Morelli, da sempre in prima fila nei dossier che riguardano viale Mazzini. Per Morelli bisogna procedere per step: «Primo: razionalizzazione, e quindi anche diminuzione, dei canali che ora sono 13 per la tv e una decina per la radio. Secondo: riorganizzazione ed eventualmente vendita del patrimonio immobiliare della Rai come per esempio le sedi di Venezia e Milano; terzo: aumento delle operazioni commerciali, come sta facendo RaiCom (la società che vende diritti e licenze dei prodotti Rai) il cui bilancio lo scorso anno è stato il più alto della sua storia e che ora si pensa, sbagliando, di riportare all'interno dell'azienda; quarto: internalizzazione di tutta la produzione evitando di dare in appalto esterno programmi e fiction".

L'ultimo punto è molto delicato, perché va a toccare direttamente gli interessi di alcuni pezzi da novanta di mamma Rai, peraltro vicini all'intoccabile mondo dell'intellighenzia di sinistra: leggasi Fabio Fazio e Marco Damilano. "Infine - conclude Morelli - come estrema ratio, aumento dell'affollamento pubblicitario".

"Un servizio pubblico non vive di pubblicità, come fanno invece le tv commerciali" replica a stretto giro l'Usigrai. "Semmai sono gli spot che andrebbero aboliti a fronte di risorse certe e adeguate. Se poi la Rai viene ritenuta, a stagioni alterne, di destra o di sinistra, siano i partiti a liberarla riformando subito la legge di nomina dei vertici dell'azienda". La partita, insomma, è tutta da giocare.

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