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Governo, il decennio targato Pd lascia l'Italia in ginocchio. Il disastro Dem

Carlantonio Solimene
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Il 2011 è un anno cruciale nella storia politica italiana. È quello in cui, per la prima volta dal 1994, va in crisi il bipolarismo. I 17 anni precedenti, salvo parentesi sporadiche, erano stati segnati da Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Quelli successivi saranno contraddistinti dall’instabilità. Vedranno infatti alternarsi in tutto sette governi in undici anni. Tre di «larghe intese» (Monti, Letta e Draghi); due sostanzialmente di espressione del Pd (Renzi e Gentiloni); due, infine, «anomali», quelli a guida di Giuseppe Conte, con il M5S prima alleato della Lega, poi del Partito Democratico. L’unica costante, fatta eccezione per l’anno di governo «gialloverde», è rappresentata proprio dal Pd. Che non solo ha gestito direttamente Palazzo Chigi dal 2013 al 2018. Ma ha anche più di tutti sostenuto i due governi «tecnici», sbandierando nelle successive elezioni l’«Agenda Monti» e l’«Agenda Draghi».

Dieci anni su undici al potere, quindi. Un periodo abbastanza lungo per poter tracciare un bilancio di quello che era l’Italia nel 2011 e quello che è diventato il Paese nel 2021. Un resoconto, in verità, impietoso. Tutti i principali indicatori economici fanno segnare parametri negativi. Certo, ci sono diversi fattori «esogeni» da considerare. Il decennio si apre con i cascami della grande recessione mondiale partita con la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti nel 2008. Poi arriverà l’impennata dell’immigrazione dovuta alle «primavere arabe», infine il terribile choc della pandemia da Covid. Ma il bilancio resta negativo, specie se raffrontato con i risultati raggiunti dai partner europei.

Inevitabile partire dal Pil, che tra il 2011 e il 2021 è addirittura negativo: -1,4%. Certo, c’è stato il tracollo del 2020: -8,9%. Ma è stato uno choc mondiale, eppure altri Paesi reagiscono meglio. Dal 2011 la Germania è cresciuta globalmente del 12,9%. La Spagna, Paese più assimilabile all’Italia, del 5,1%. Il debito pubblico è letteralmente esploso. Nel 2011 era pari al 119% del Pil. Nel 2021 si è «gonfiato» fino al 150,8%. Ad aprile 2022 ha toccato la cifra record di 2.760 miliardi. Contestualmente la Germania lo abbatteva dal 79,8% del Pil al 65%. In Spagna cresceva dal 69,9 al 118,4%: ben lontano, però, dai picchi italiani.

<FG><FG>L’inflazione, prima del boom del 2022, cresceva a ritmi blandi: +11,8% in dieci anni. Peccato che, allo stesso tempo, i salari crollassero. Dal 1990 al 2020 - dati Ocse - l’Italia è l’unico Paese europeo in cui le retribuzioni calavano–-2,9%. In Spagna, penultima in questa classifica, salivano del 6%. Nell’irraggiungibile Germania del 33,7. Tutti i cittadini sono più poveri, il tasso di indigenza assoluta tra le famiglie è passato dal 5,2% al 7,5. Anche a causa di un Fisco famelico: nel 2011 - dati Istat - la pressione dell’erario era al 41,3%, dieci anni dopo è al 43,5. Nel 2022 il «tax freedom day» è caduto il 7 giugno. Per quasi metà anno si lavora solo per girare i guadagni allo Stato.

La crisi economica è diventata crisi sociale. Ne è un indicatore la progressiva disaffezione dalle istituzioni, che si misura col tasso di affluenza alle elezioni. Anche nel 2011 si tennero delle amministrative accorpate a un referendum: votò il 60,21% degli aventi diritto. Lo scorso 12 giugno l’asticella si è fermata sei punti sotto, al 54,69%.

L’Italia che ha paura del futuro fa sempre meno figli: il tasso di natalità è calato dall’1,44 nati per donna all’1,25. Nel 2021 c’è stato il record negativo di nascite: appena 399.400 bambini. Si «compensa» con l’immigrazione. Qui i dati vanno presi con le molle, perché sicuramente nell’ultimo decennio le crisi politiche e belliche in Africa hanno contribuito al boom e i governi possono fare poco senza il sostegno degli enti sovranazionali. Ma i numeri, presi nudi e crudi, fanno impressione: dal 2000 al 2010 sono arrivati in Italia 214.975 migranti; dal 2011 al 2021 quattro volte tanto: 819.330. Questo - va sottolineato - a dispetto della percezione popolare non ha provocato un aumento dei reati denunciati: erano 2.763.012 nel 2011, si sono ridotti a 2.301.912 nel 2019. I dati del 2021 non sono ancora disponibili sul portale Istat e il 2020 non è un anno significativo, essendo stato segnato dal lockdown.

È una delle pochissime «luci» del decennio. Accanto al mercato del lavoro. Nel 2021 il tasso di occupazione medio è stato del 59%, più alto rispetto al 56,9% di dieci anni prima. Un milione di persone in più al lavoro che sono, però, sostanzialmente pari all’aumento dei contratti part time. La crescita è quindi sostanzialmente ascrivibile a contratti «ridotti».

 

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