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Enrico Letta in un mare di guai, flop del campo aperto e schiaffi di Calenda: "No a ex M5s e Sinistra"

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Carlantonio Solimene
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Tutto da rifare. Con meno di due settimane per trovare la quadra. È stata una domenica nera quella di Enrico Letta. Non bastasse il coro di critiche che ha attirato la sua proposta di una tassa di successione per i superpatrimoni al fine di finanziare la «dote» per i diciottenni, il segretario Pd ha infatti dovuto farei conti con l'ormai probabile fallimento del «campo aperto».

Le interlocuzioni con Carlo Calenda, che sabato parevano avviate a buon fine - al Nazareno davano ormai per acquisita l'alleanza - hanno infatti subìto un pesante rallentamento. Il leader di Azione solo oggi svelerà la sua decisione sull'eventuale apparentamento con i Dem. Ma ieri il termometro faceva segnare temperature gelide. Lo si è capito fin dal mattino, da quando i vari esponenti di Azione hanno cominciato a porre veti sui vari esponenti che il Pd vorrebbe inserire nel «campo aperto». «Discutiamo di quello che volete, ma ai nostri elettori non possiamo chiedere di votare Di Maio, Bonelli (anti Ilva, termovalorizzatori e rigassificatori) e Fratoianni (che ha votato 55 volte la sfiducia a Draghi) nei collegi uninominali» ha twittato Calenda. Per poi criticare le indiscrezioni su un presunto avvicinamento di Fico al Pd (smentito) e pubblicare, infine, una lunga lista dei motivi per i quali è impossibile un accordo con Di Maio. Tutti punti contenuti presumibilmente nella lettera che Calenda e Della Vedova hanno inviato nel pomeriggio a Letta senza aver, a ieri sera, ancora ricevuto risposta.

L'impressione, insomma, è che in 24 ore la posizione di Calenda si sia capovolta. E che, a meno di un ulteriore ribaltone, Azione oggi annuncerà la sua volontà di creare un terzo polo centrista. Magari - erano queste le indiscrezioni di ieri facendo asse con i renziani di Italia viva. Così Letta, dopo aver tempo». Non finisce qui, perché anche a livello interno i segnali non sono positivi. La scarsezza di collegi sicuri, infatti, ha fatto scattare una vera e propria corsa per accaparrarsi i posti migliori. Peccato che siano gli stessi che il segretario avrebbe messo sul tavolo delle alleanze per «sedurre» gli interlocutori. Ieri Luigi Di Maio ha smentito di essere stato «paracadutato» nel collegio di Modena. Ma la sola ipotesi che l'uomo delle accuse al «partito di Bibbiano» potesse avere una candidatura blindata in Emilia Romagna aveva fatto esplodere la rabbia dei quadri locali. Irritati anche dalle voci su Richetti (Azione)nel collegio di Bologna. Circoscrizione che già nel 2018 sopportò l'imposizione di un esterno, Pier Ferdinando Casini.

Il taglio dei parlamentari, insomma, ha acuito ancor di più la battaglia delle liste. In Campania non è vista di buon occhio la probabile candidatura di Dario Franceschini a Napoli. E ad Empoli è esploso il caso Luca Lotti. «Snobbato» dai militanti cittadini, l'ex ministro dello Sport ha rivendicato di essere stato inserito nella rosa del Pd metropolitano fiorentino, la sua federazione. Peccato che di lì a poco i dirigenti locali abbiano vergato una nota ufficiale per chiarire che «il nome di Lotti non è in nessuna rosa del Pd Metropolitano di Firenze». Il clima è quello che è. E ad agevolarlo non è certo il segretario. Che dopo aver concentrato i primi giorni della campagna negli attacchi a Fratelli d'Italia (pur avendo politicamente «flirtato» con la Meloni nei mesi precedenti) ha tirato finalmente fuori una proposta programmatica. Peccato che l'intemerata sulla tassa di successione abbia nuovamente attirato sul Pd il marchio di «partito delle imposte». E ad approfittarne non è stato solo il centrodestra, ma anche quei centristi come Renzi e Calenda sui quali Letta dovrebbe puntare per poter avere chance nei collegi in bilico. Sì, perché dal punto di vista dei sondaggi l'aria che tira è davvero tetra. Una rilevazione diffusa sabato dall'istituto di Antonio Noto fotografa una situazione gravemente deficitaria per la sinistra. Il centrodestra sarebbe globalmente al 49%, sfiorando la maggioranza assoluta.

Gli avversari, comprendendo nel raggruppamento Pd, Sinistra Italiana/Verdi e il partito di Di Maio, si fermerebbero poco sopra il 23%, meno della metà. Ma il problema riguarda anche le singole forze, con Fratelli d'Italia al 24 e il Pd quattro punti sotto. Letta, intuendo quanto sia difficile ribaltare i pronostici a livello di coalizione, spera di rivendicare la sera del voto il ruolo di primo partito. Sarebbe l'assicurazione sulla vita da segretario. Il trend, tuttavia, è sfavorevole. L'ombra di fare la fine di Bersani e Renzi, defenestrati a pochi mesi dalle elezioni, si allunga minacciosa.

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