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Draghi si schianta in Senato. Lega, FI e M5s non votano la fiducia: dimissioni e fine dei giochi

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Mario Draghi domattina, giovedì 21 luglio, andrà alla Camera "solo per dimettersi. Game over". Così fonti di governo citate da Adnkronos fissano il senso della giornata, confermando che all’inizio della discussione generale - domani alle 9 a Montecitorio - il premier annuncerà le proprie dimissioni per poi salire al Quirinale. Il governo non c'è più e si apre lo scenario delle elezioni anticipate. 

 

La svolta della giornata in Senato  era arrivata nelle repliche del premier al dibattito seguito alle comunicazioni fiduciarie. «Chiedo che sia posta la fiducia sulla proposta di risoluzione avanzata dal senatore Casini». Lo dice con nettezza, in prima persona, Draghi nel suo intervento di replica al Senato, nelle comunicazioni seguite alle dimissioni dello scorso 14 giugno, poi respinte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Come giovedì scorso, anche stavolta il Senato ha votato la fiducia (95 sì e 38 no) ma stavolta, con la non partecipazione la voto non solo di M5S ma anche di Fi e Lega, arriva la conferma che la «maggioranza di unità nazionale» non c’è più.

 

A Palazzo Madama erano state presentate due risoluzioni, quella di Casini e quella del centrodestra di governo: «Il Senato, udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri, le approva» si legge semplicemente nella prima. Nella seconda, su cui non si è votato, si dichiarava da parte di Fi e Lega la disponibilità «a continuare a dare il proprio contributo per risolvere i problemi dell’Italia» ma «con un governo profondamente rinnovato rispetto agli indirizzi politici e nella propria composizione». Insomma, senza i 5 Stelle.

 

Già nel corso del dibattito, le condizioni poste dal capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo («Noi ci siamo se si tratta di fare una nuova maggioranza, senza M5s, e se serve ricostituire un nuovo governo») e il duro intervento del senatore pentastellato Ettore Licheri («bisogna capire se il superbonus lo si ferma perché è una misura dei 5 Stelle, senza accampare presunte frodi o altro») lasciavano presagire che non sarebbe stata una giornata dall’esito positivo. Dopo l’intervento del leghista, il premier lasciava momentaneamente l’aula del Senato, visibilmente rabbuiato, mentre dopo l’intervento del secondo i gruppi di maggioranza chiedevano la sospensione della seduta per un’ora e mezza, ma nella riunione di maggioranza non si riusciva a trovare una sintesi.

 

Si scivolava quindi, senza intese, alla replica del premier: Draghi ha ringraziato chi ha «sostenuto il governo con lealtà, collaborazione e partecipazione», rispondendo alle accuse arrivate dall’emiciclo: «La democrazia è parlamentare ed è quella che io rispetto e in cui mi riconosco. Siete voi a decidere, niente richieste di pieni poteri». «Perché il governo non è entrato nello Ius Soli, nello Ius Scholae, nella cannabis, nel ddl Zan? Voglio essere chiaro, perché il governo per la sua natura di unità nazionale non ha voluto entrare nelle vicende parlamentari» ha spiegato il premier, tirando infine due stilettate al Movimento 5 Stelle, sul reddito di cittadinanza e il superbonus.

«Siamo obbligati a prendere atto che il problema siamo noi, noi togliamo il disturbo signor presidente» ha detto la presidente dei senatori M5S Mariolina Castellone, annunciando la non partecipazione al voto di fiducia sulle comunicazioni del premier. «Chiedere a quest’aula una sorta di delega in bianco mortifica il nostro ruolo e quello della democrazia parlamentare». Ma quando ha preso la parola la rappresentante pentastellata, la sorte della maggioranza era già segnata, visto che sia Forza Italia che Lega avevano annunciato la loro non partecipazione al voto: «Con amarezza il gruppo di Forza Italia Senato non parteciperà al voto sulla fiducia posta dal governo solo sulla risoluzione Casini» ha detto Bernini. Sulla stessa linea il senatore leghista Candiani: «Spiace che non sia stata scelta la nostra risoluzione, spiace che non siamo stati messi nelle condizioni di poter partecipare al voto. Il Paese non ha bisogno di stallo, ma di chiarezza».

Non basta l’appoggio del centrosinistra e dei centristi: «Ci sono dei momenti nella vita politica in cui vanno messe da parte le bandiere di parte e va issata quella nazionale, ce lo chiedono gli italiani» era stato l’appello della capogruppo dem Simona Malpezzi. «Noi voteremo sì al governo Draghi guardando al futuro, consapevoli che oggi finisce il teatrino - ha affermato il leader di Italia Viva Matteo Renzi - Oggi o si va avanti con 
Draghi o si va a casa». Dalle fila dell’opposizione, il capogruppo di Fratelli d’Italia a Palazzo Madama avvertiva il premier: «Presidente non si illuda: se riuscirà a mettere insieme i cocci della sua maggioranza, torneranno a litigare fino alla prossima imboscata, perché amano giocare sulla pelle dell’Italia». Ma non ci sarà il modo scoprirlo. Lo scenario è quello dello scioglimento delle Camere ed elezioni anticipate. Il 2 ottobre la data più probabile. 

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