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Governo, il M5S mette in crisi Draghi sul dl Aiuti. Il premier al Quirinale da Mattarella

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Una girandola di incontri con alcuni ministri, poi il colloquio al Quirinale con Sergio Mattarella. A raccontarla così - visto che nel mezzo c'è anche la decisione del M5S di non votare il decreto Aiuti alla Camera- l'agenda di Mario Draghi è di quelle che fa temere il peggio. Nei corridoi del Palazzo i parlamentari si interrogano e anche tra i ministri che hanno visto il premier e che dal colloquio sono stati in qualche modo rassicurati i dubbi prendono il sopravvento: "Mica si dimetterà?". Dopo circa un'ora di faccia a faccia, invece, dal Quirinale e da palazzo Chigi vengono fatte filtrare due veline quasi fotocopia. "Esame della situazione politica internazionale e nazionale. Mattarella ha riferito a Draghi del suo viaggio in Africa. Per quanto riguarda la parte più politica ossia il voto di fiducia, Mattarella non ha commentato eventuali scenari", sintetizza chi ha parlato con il presidente della Repubblica. "Al centro del colloquio al Quirinale tra il Presidente Mattarella e il Presidente Draghi gli esiti dei recenti incontri in Africa del Capo dello Stato, in Mozambico e Zambia. Durante l'incontro è stata passata in rassegna la situazione politica internazionale, nazionale ed economica", fanno eco da palazzo Chigi.

 

I due presidenti, insomma, sono ancora una volta "allineati". Che il M5S lasciasse l'aula e non partecipasse al voto finale, alla Camera, sul decreto Aiuti, Giuseppe Conte lo aveva anticipato a Draghi già mercoledì scorso, in occasione del loro incontro a palazzo Chigi. Il verificarsi degli eventi, però, in vista del voto di giovedì in Senato ha in qualche modo drammatizzato le cose. Certamente, è il ragionamento sul quale concordano il premier e il Capo dello Stato, se il M5S non votasse la fiducia sarebbe un problema. Dopodiché, mette in evidenza chi lavora al fianco dell'inquilino di palazzo Chigi "molto importante" sarà l'incontro di domani con i leader sindacali. "Non sarà un faccia a faccia di routine", viene sottolineato. Tradotto: dal tavolo con Cgil, Cisl e Uil - al quale Draghi lavora tutto il giorno incontrando prima Franco e poi Orlando - arriveranno le prime "risposte concrete" ai temi sollevati "anche" da Giuseppe Conte. È in risposta alle misure di domani, salario minimo e taglio del cuneo innanzitutto, che dal Governo si aspettano un cambio di rotta del M5S, anche nella comunicazione verso l'esecutivo. "Se giovedì non voteranno la fiducia, cosa ancora probabile, Conte e i suoi dovranno dimostrare in altri modi e in relazione ad altri provvedimenti di condividere ancora la responsabilità di Governo", è il ragionamento. In caso contrario si aprirebbe la verifica della maggioranza in parlamento.

La situazione, in ogni caso, è in continuo aggiornamento e i partiti giocano le loro mosse anche guardando agli interessi di bottega. È Silvio Berlusconi, dopo il voto a Montecitorio, il primo a calare i distinguo e le eccezioni M5S in pura liturgia politica. "Chiediamo che ci sia una verifica della maggioranza al fine di comprendere quali forze politiche intendano sostenere il governo, non a fasi alterne e per tornaconti elettorali, ma per fare le riforme e tutelare gli interessi degli italiani", mette nero su bianco il Cav. Matteo Salvini plaude e si accoda alla richiesta, puntando il dito contro i provvedimenti su cittadinanza e Cannabis che nel frattempo il Carroccio combatte a colpi di ostruzionismo in Parlamento. Anche Matteo Renzi concorda sulla necessità di fare il punto con il presidente del Consiglio. "È chiaro che se non c'è più il M5S, per me, si può andare avanti anche senza ma bisogna vedere se ci sono la volontà e i numeri e su che cosa", ragiona. Intanto, in Transatlantico, parte il 'fantagoverno'. "Se Patuanelli e D'Incà lasciano, la Lega vuole l'agricoltura e FI i Rapporti con il Parlamento, Dadone invece resterà ministro con Di Maio", il borsino della 'minicrisi' che va per la maggiore. In realtà, c'è chi non esclude cambi di scenario più decisi: "Draghi resta con i tecnici e un tecnico d'aria a partito e la Lega vuole l'Interno", azzarda qualcuno a Montecitorio.

Intanto dal Nazareno arriva un "appello alla serietà e alla responsabilità". I contatti tra Enrico Letta, i vertici del partito e i membri della squadra di governo con i 5S sono costanti. La risposta ad ogni possibile obiezione, continuano a ripetere i pontieri dem, è racchiusa in due parole: "agenda sociale". Domani, sottolineano ai piani alti del Pd, c'è "un importantissimo incontro Governo-sindacati, con un' auspicata virata verso una politica di investimenti pubblici e politiche sociali". Per i dem, quindi da un lato c'è la preoccupazione che tutto si slabbri e possa esplodere una "bomba sociale" e dall'altro la possibilità per la prima volta di disinnescarla con interventi mirati. "Sarebbe paradossale - è il ragionamento - che una forza democratica e progressista non cogliesse questa opportunità". Chi sente il segretario in serata, in realtà, racconta un Letta "moderatamente fiducioso" che "alla fine una quadra si possa trovare".

 

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