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Enrico Letta non si fida di Giuseppe Conte e il governo trema

Pietro De Leo
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L'avviso al navigante è chiaro: «Se si andasse a un'interruzione dell'attività di governo si perderebbero le risorse del Pnrr. Quando noi diciamo che siamo per tenere il governo alla fine della legislatura e che subito dopo il voto un governo prenda subito il testimone, lo diciamo perché la quantità enorme di risorse europee è la partita fondamentale». Mittente, il segretario del Partito Democratico Enrico Letta. Destinatario, il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, e le sue baldanze antigovernative in vista del 21 giugno e il voto sulla risoluzione sulla crisi ucraina. «Sono convinto- aggiunge Letta che il 21 arriveremo in Parlamento e la maggioranza si ricompatterà su un testo che condivideremo con il Governo. Tutti abbiamo la stessa ambizione oggi, quella di un'Italia che sia insieme a tutta Europa determinante per riuscire ad obbligare la Russia a fermarsi e far sì che si riesca ad arrivare alla pace. Non credo che nessuno voglia assumersi la responsabilità di rotture che in questo momento sarebbero negative. I giorni 21 e 22 saranno una prova importante ma sono convinto che ognuno farà la sua parte con responsabilità ed è naturale che sia così, che in Parlamento si discuta per trovare un'intesa».

 

 

Dunque, una «mozione» alla responsabilità, inviata, con una certa diplomazia e senza far nomi, all'alleato. Con un occhio al «campo largo» e alle amministrative. Spiega infatti Letta: «Andiamo all'elezione di domenica avendo testato in molte città italiane alleanze larghe, nel 70% dei capoluoghi siamo in un'alleanza larga e vedremo quale è il risultato e poi, sulla base di questo, ragioneremo sui prossimi passi per cercare di arrivare prima alle elezioni regionali siciliane dell'autunno e poi alle Politiche del prossimo anno, non da soli». E qui arriva un'altra frecciata, stavolta destinata evidentemente a Matteo Renzi, che lo disarcionò da Palazzo Chigi nel 2014: «Il mio obiettivo - ragiona Letta - è girare definitivamente pagina rispetto a quell'isolamento che portò il Partito Democratico a perdere nel 2016 e nel 2017 e oggi votiamo in tutte le amministrazione che noi perdemmo cinque anni fa, perché scegliemmo quella gloriosa autosufficienza che si tramutò in un isolamento che ci fece perdere ovunque, dalla Sicilia fino a Gorizia». Quelli, infatti, erano proprio gli anni in cui il timone dei Dem era in mano all'attuale leader di Italia Viva, con cui un'alleanza nel «campo largo» allo stato attuale delle cose pare avere poche possibilità. Letta aggiunge: «Il mio obiettivo e l'obiettivo del Pd oggi è invece dimostrare che con alleanze più larghe si riesce ad arrivare a una buona presenza del centrosinistra».

 

 

La prospettiva, dunque, è quella del 2023, «costruire una coalizione per poter governare dopo le elezioni politiche». E però certo la compattezza interna è un problema per tutti (ieri il leader dem parlava dalla Puglia dove l'amalgama in vista delle amministrative è stato alquanto difficile): «I partiti politici in quanto tali, soprattutto se sono grandi, sono luoghi nei quali si discute». E spiega: «Le discussioni ci sono ovunque, fa parte del nostro modo di intendere la politica, c'è un partito politico in cui si discute perché è un partito democratico in cui soni i cittadini e gli iscritti che decidono e decideranno anche qui». Dunque: «Non siamo il partito del leader e io non sono il padrone del partito come capita nei partiti di destra e di centrodestra dove il capo è il padrone, da noi il capo sono gli iscritti, sono i cittadini, sono gli elettori». Peccato che neanche lui sia stato eletto con un percorso congressuale.

 

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