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Ddl Concorrenza, dai canoni alla direttiva Bolkestein: tutte le fake news sui balneari

Pietro De Leo
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Punto di snodo per la vita del governo, ostacolo alla piena integrazione europea, destinatari di un privilegio. Tradotto: i balneari. Su questi imprenditori si addensa un'ingente mole di luoghi comuni e di fake news. Uno di questi riguarda il fatto che paghino poco per le loro concessioni. Non è così. Queste imprese, oltre al canone, si caricano sulle spalle il conto economico della pulizia degli arenili, il servizio dei bagnini, oltre ai costi di formazione per il personale e per la sicurezza. Senza dimenticare oneri fiscali mica da ridere: Iva al 22% e Imu sui manufatti, sebbene si tratti di beni «in affitto».

Altro tema, poi, riguarda l'Europa. Partendo dalla base di tutto. E per far questo dobbiamo compiere un balzo indietro, al 2018. Siamo a un convegno organizzato da un'associazione di donne che gestiscono stabilimenti balneari. «Le concessioni balneari sono beni e non servizi», dice un ospite d'onore, che oggi ha 89 anni. È Fits Bolkestein. Proprio l'ex commissario Ue per il mercato interno e padre di quella direttiva che ha messo in moto il bailamme della scadenza delle concessioni. Direttiva sulla concorrenza che però si rivolge, appunto, ai servizi. Dunque già l'estensore della normativa aveva messo il dito nella piaga su quello che appare un errato recepimento del provvedimento comunitario nel nostro ordinamento. Altro mantra, poi, è il collegamento della riforma delle concessioni alla possibilità di continuare a ricevere le risorse del piano comunitario. Una linea che Draghi ha rivendicato anche nel Cdm straordinario convocato per invocare l'accordo. Peccato che, però, in realtà nel nostro Pnrr la questione delle concessioni balneari non viene citata, piuttosto si richiama a quelle riguardanti l'energia idroelettrica, elettrica, il gas naturale, le autostrade. Tradotto: nel caso specifico questo vincolo non esiste.

Al di là delle fake news rimangono poi alcuni punti sospesi che riguardano la stessa direttiva. L'articolo 12, per esempio, ne sancisce l'applicazione laddove l'attività economica contempli l'utilizzo di «risorse scarse». Per definirlo ci vorrebbe una mappatura, che però, nonostante sia stata anche definita all'interno della legge di bilancio del 2018, non è mai stata svolta. Questi, dunque, alcuni punti sostanziali in un dossier che ha visto un confronto spesso distorto da tante, troppe chiavi di lettura ideologica. In vista della ripresa dell'iter che prevede l'esame del ddl Concorrenza in commissione industria al Senato. E sui balneari i nodi sono due: gli indennizzi per quegli imprenditori che perderanno la concessione, e di fatto la loro azienda. E poi la scadenza delle concessioni stesse, prevista per la fine del 2023.

Due nodi cui corrispondono due tipi di timori, del tutto giustificati, da parte degli imprenditori. Il primo riguardala difficoltà di valutare la congruità dell'indennizzo, essendo in ballo anni di sacrifici e investimenti. Il secondo è il destino a partire dal 2024 per quanti perderanno la concessione, considerando anche le esposizioni bancarie e la difficoltà di riconvertirsi in qualche modo sul mercato e di ottenere altro credito.

Laila Di Carlo del sindacato «La Base Balneare» lancia il suo allarme al Tempo: «Noi facciamo parte di questo Paese, non siamo persone di cui liberarsi, perché di questo si tratta. È una vergogna svendere le spiagge alle multinazionali, italiane e straniere. Noi siamo una grande risorsa da rilanciare, per ripartire, in questo momento di crisi». Laila Di Carlo: «Una vergogna svendere gli arenili alle multinazionali italiane e straniere con questa crisi» 

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