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Mario Draghi isolato: il premier mollato sulle riforme. La crisi adesso è più vicina

Pietro De Leo
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C’è stato un momento in cui si è spenta la luce, ed è stato nel passaggio parlamentare della manovra, prima di Natale. Qui, dicono, per una certa tendenza di Palazzo Chigi a passare sopra le istanze dei gruppi parlamentari, la dialettica governo-forze politiche ha imboccato un sentiero irto di spine. Rese ancora più acuminate da quella maldestra, per quanto sussurrata, autocandidatura di Mario Draghi al Quirinale, espressa durante la conferenza stampa del 20 dicembre, che in maggioranza scontentò un po’ tutti, specialmente quel Silvio Berlusconi che fortissimamente lo volle al governo e parimenti fortissimamente voleva diventar lui presidente della Repubblica.

Si sa com’è andata: Mattarella bis ed una grande delusione per l’ex numero uno di Bce, mortificato sulla via di un traguardo che, appena chiamato a guidare l’Esecutivo, pareva quasi uno sbocco automatico. Da lì, quelle che prima erano frizioni sono diventati contrasti, in un filo del dialogo sempre più difficili. Tra i parlamentari c’è chi nota come l’aplomb di Draghi, mai confidenziale ma tutto sommato cordiale mostrato quando entra in Aula ora si sia trasformato in vera e propria freddezza.

Al di là delle note del racconto umano della politica che lasciano sempre un po’ il tempo che trovano, di oggettivo c’è che si accumulano, giorno dopo giorno, i fattori di rischio. C’è l’ansia da calendario elettorale che si avvicina, l’emergenza Covid ormai oggettivamente superata e la politica che riprende il suo spazio fisiologico, con le proposte, le campagne, i punti caldi. Su cui si può sempre meno transigere. E allora ecco la muscolarità del braccio di ferro con Giuseppe Conte, che ha trovato nel dossier spese militari una doppia opportunità. Da un lato, trovare un punto qualificante per una leadership fragile e in cerca di un’anima.

Dall’altro, contenere il contraltare interno di Luigi Di Maio, in quanto ministro degli Esteri pienamente allineato su Draghi e l’accordo Nato. La soluzione trovata sposta molto in là il rispetto dell’impegno assunto nel 2014 in sede di Alleanza Altantica, ma in ogni caso ha dato il la ad una serie di rivendicazioni che ora pesano come macigni sul cammino del governo, mettendone in discussione il prosieguo. C’è il tema catasto, su cui oggi si attendono novità per l’incontro che Lega e Forza Italia avranno a Palazzo Chigi con il Presidente del Consiglio. Il tema è molto semplice: nel decreto fiscale c’è l’articolo 6 che contiene due commi.

Il primo contiene una mappatura degli immobili, e consentirebbe di far emergere il sommerso. Il secondo, invece, allinea il valore catastale a quello di mercato degli edifici. Questo secondo punto, anche sulla base di elaborazioni stilate da Confedilizia, avrebbe una serie di conseguenze importanti (negativamente) sulle tasche degli italiani. Più tasse, la modifica degli indicatori Isee, l’applicazione dell’Imu anche su prime case oggi esenti, perché non considerate di pregio ma che potrebbero diventarlo. Va bene che tutto questo sarebbe a far data dal 2026, ma in ogni caso contraddirebbe il racconto politico di 28 anni di berlusconismo, che ha fatto della difesa del mattone un punto identitario. Divenuto qualificante pure per la Lega, attenta nell’era salviniana alle sensibilità del ceto medio. Al momento siamo al muro contro muro, con un centrodestra che si è mostrato compatto, sia nella quota governativa (con i centristi di Noi con l’Italia i quali, al contrario di un primo momento, si sono messi sulla stessa posizione degli alleati), sia in quella all’opposizione di Fratelli d’Italia.

Altro punto dolente, la riforma della giustizia. L’accordo trovato su elezione Csm, porte girevoli, separazione delle funzioni e valutazione dei magistrati non soddisfa Italia Viva. Così è stato lo stesso Matteo Renzi a mettere nero su bianco le criticità sulla sua E-news. “Il vero problema dello strapotere delle correnti e del fatto che chi sbaglia non paga mai, con la riforma Cartabia non si risolve. Le correnti continueranno a fare il bello e il cattivo tempo nel Csm. Peccato, un’occasione persa”.

Risultato? “Siamo gli unici che non voteranno a favore”. I punti critici, peraltro non finiscono qui. Conte, in una recente intervista a Repubblica, ha rimesso sul tavolo la questione del salario minimo, e i pentastellati stanno sottolineando la necessità di modificare la normativa del bonus 110%, per via delle difficoltà che stanno riscontrando le imprese a mandare avanti i cantieri a causa dell’aumento delle materie prime. Sempre sul piano dei rapporti con le imprese, peraltro, è sempre pendente il dossier balneari, dove Lega e Forza Italia fanno asse a difesa delle imprese storiche che rischiano di vedere messe in discussione le loro concessioni dopo decenni di lavoro e investimenti.

Inoltre c’è tutto il tema sicurezza che costituisce un altro fattore di criticità.  Il partito di Matteo Salvini non ha mai avuto idillio con la scelta di continuità adottata nel passaggio dal Conte2 di mantenere Luciana Lamorgese al ministero dell’Interno. Così, oggi a fronte della doverosa partecipazione all’accoglienza degli ucraini riconosciut anche da via Bellerio (su cui si stanno dando da fare anche presidente di regioni e sindaci del partito), viene imputata al governo un’attenzione minore del necessario per la rotta mediterranea, che ha ripreso ad animarsi con l’avvio della bella stagione. E che rischia di esserlo sempre di più nelle settimane e nei mesi che verranno. 

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