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Intervista a Roberto Morassut: "Massimo D'Alema sbaglia. Non si può rientrare dando calci alla porta"

Francesco Storace
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Nel Pd il clima si è fatto subito incandescente. È bastata una delle solite battute di Massimo D'Alema per elevare i decibel nel partito. «E lui deve capire che così non si va da nessuna parte», dice in un'intervista al nostro giornale Roberto Morassut, deputato romano del partito e di lungo corso. Morassut ha visto da vicino negli anni il leader maximo e ne conosce la ruvidezza. Vale la pena chiedergli che sta succedendo nel Pd.

Ma ora non volete più un personaggio come Massimo D'Alema? Se lui è disponibile a tornare lo tenete sull'uscio?
«No, il problema non è affatto questo e sarebbe riduttivo pensarla così. Semmai, è solo giusto rimarcare che il suo "Pd guarito" non è stato certo il massimo come esordio, definendo malato il partito. Di questi tempi poi. Purtroppo emerge al solito il conflitto di sapore personale. Nel caso di D'Alema come in quello di Matteo Renzi dovrebbe invece valere sempre la matrice collettiva di una storia, i singoli ne sono parte, mai l'intero. Ma si sconfina sempre nella presunzione dell'ego. Ma va anche detto che aldilà delle persone, le porte del Pd sono sempre aperte, ma non per dirigenti che entrano ed escono».

Siamo alla rimozione del vecchio leader?
«Le generazioni cambiano, il mondo è un altro e corre velocemente, ognuno deve fare uno sforzo nuovo e non si può negare la frattura tra ieri e oggi. Ma bisogna tentare di sforzarsi affinché in un campo progressista nuovo che voglia parlare all'Italia tutti possano starci con eguale dignità. Non è un gran modo di cominciare il percorso con attacchi del genere».

 

 

Uno come D'Alema deve superare gli esami di ammissione?
«Più concretamente al massimo si può ammettere che D'Alema ha posto abbastanza brutalmente una questione. Sbagliando nel metodo però. Perché se prima esci e poi dici di voler rientrare affermando che il corpo era malato non puoi attenderti un grazie da chi invece era rimasto nel partito a proseguire la propria battaglia. Comunque ci si penserà al congresso e lì ci si pronuncerà sul progetto complessivo».

Temete di essere etichettati di nuovo come comunisti?
«No, non è questo il problema. Non si risolve il problema del rapporto con il paese con le oscillazioni politiche. Il problema del Pd non sta nel passato della sua stessa classe dirigente, ma come rapportarsi col futuro dell'Italia».

Però è Enrico Letta a richiamare in servizio l'antica Ditta. Mica D'Alema, Bersani e Speranza hanno deciso da soli di fare il passo verso di voi.
«È evidente che c'è un processo politico in movimento. Tanti militanti di Articolo 1, il partito guidato da Speranza, sono nostri compagni che possono tranquillamente stare nel Pd. Non c'è nessuna barriera al loro ingresso. Il problema è come rientrare, l'impostazione di D'Alema non aiuta con la sua pretesa di intimarci "voi avevate torto e io ragione". Se pensa di rientrare col tappeto rosso dicendo che la colpa era degli altri rende tutto più difficile. Anche ai suoi compagni di Articolo 1».

 

 

Ci sarà un motivo se ha fatto quell'uscita sulla malattia.
«Mah, questo bisogna chiederlo proprio a lui. Qualcosa di nuovo non la costruisci certamente in questa maniera, e mi rifiuto di pensare al Pd come ad un corpo malato».

Ma concretamente che cosa deve fare il Pd nel paese e nel rapporto con la sua sinistra?
«Questo è il tema che pongo da anni. Il Pd deve avviare un processo costituente, che lo ricollochi rispetto a generazioni che sono cambiate. Dal tema del lavoro alla questione giovanile, dalle periferie urbane all'ambiente: qui stanno le questioni da affrontare. Il grande campo è questo».

E la vocazione maggioritaria del Pd del Lingotto che fine fa?
«Vocazione maggioritaria non vuol dire stare da soli. Nel centenario della nascita di Berlinguer ricordo che egli pose dopo il caso Moro il tema della presenza comunista nella società in collegamento con le diverse realtà del paese. E oggi nelle città, ad esempio, si avverte una crisi collettiva della politica, la stessa destra ha un grande problema di classe dirigente».

Ma questo passaggio del Pd coni problemi che la scossa dalemiana pone al partito, influenzerà anche la scelta da giocare per il Colle?
«Credo di poter dire che nel partito siamo alle porte di una discussione che si esaurirà semmai col congresso nel 2023. E Mattarella, nel suo discorso di commiato, ci ha indicato la strada della stabilità e la conclusione della legislatura a scadenza naturale. D'Alema non può certo pensare di condizionare il momento politico che vivremo di qui alla fine del mese».

 

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