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Mario Draghi e Mattarella, c'è il patto per scegliere il premier che resterà fino al 2023

Paolo Zappitelli
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«Non bisogna guardare a chi farà il presidente della Repubblica, quello sarà Draghi. L'importante è capire chi sarà il suo successore a palazzo Chigi fino al 2023». In Transatlantico alla Camera chi ha parlato da poco per una visita di cortesia con Sergio Mattarella racconta che questa è la strada alla quale l'attuale inquilino del Quirinale non avrebbe detto di no. E che soddisfa ovviamente anche Mario Draghi.

L'accordo passa infatti dai due principali attori di questa strategia: un «patto» tra SuperMario (che è quello che spinge di più) e l'attuale Capo dello Stato per individuare subito chi sarà il prossimo presidente del Consiglio. E con quel nome andare poi dai partiti della maggioranza per tranquillizzarli sulla tenuta del governo fino alle elezioni del 2023.

Un accordo che magari passerebbe anche dall'uscita della Lega dall'Esecutivo. Ma che alla fine non creerebbe eccessivi problemi e che, anzi, potrebbe far comodo a Matteo Salvini e farlo tornare all'opposizione, la sua «comfort zone» dove riprendere a contendere voti a Fratelli d'Italia. Se tutte le pedine di questa operazione andassero al loro posto neppure Berlusconi potrebbe dire di no a una elezione dell'uomo che lui stesso ha portato alla Banca d'Italia e poi «caldeggiato» alla Bce e con il quale ha un ottimo rapporto. Quindi farebbe un passo indietro. Ma il verdetto su Mario Draghi dovrebbe arrivare già alla prima votazione, sostenuto da tutti i voti dell'attuale maggioranza. Se si dovesse andare oltre la terza, quando servirà la maggioranza assoluta, è chiaro che lo schema sarebbe saltato. E a quel punto tornerebbe la candidatura del leader di Forza Italia, sostenuta dal centrodestra e, forse, da una nutrita pattuglia di parlamentari del gruppo Misto, terrorizzati dall'idea di andare a elezioni anticipate.

Ma da palazzo Chigi trapela che Draghi sarebbe «granitico» sull'accordo per il Quirinale. A tal punto da ipotizzare, per mettere pressione ai partiti, le sue dimissioni nei primi giorni dell'anno, appena approvata la legge di Bilancio. Del resto è stato proprio il premier, nella conferenza stampa di fine anno, a far capire che la sua esperienza a palazzo Chigi è finita con la Manovra e il Pnrr. Ma la mossa servirebbe anche a sgomberare il campo da possibili perplessità sul suo passaggio «diretto» da palazzo Chigi al Quirinale. E la necessità di un accordo tra tutti i partiti sul prossimo premier in caso di elezione al Colle di Mario Draghi è riecheggiata nelle ultime settimane nelle dichiarazioni di esponenti di centrodestra e centrosinistra. Ma su chi possa essere il «nominato» per il momento è buio fitto.

La meno probabile sembra che sia Marta Cartabia, l'attuale ministro della Giustizia, che non riscuote particolari apprezzamenti e simpatie. Più gradito il ministro dell'Economia Daniele Franco, un tecnico a tutto tondo che proprio per questo garantirebbe una certa neutralità rispetto ai partiti. Le perplessità riguardano proprio la sua formazione prettamente economica, da iper specialista di conti e numeri. Oltre il fatto che ha già escluso l'idea di fare il premier per un anno.

L'altro nome che qualcuno inizia a sussurrare è quello di Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali. Un uomo abituato a «galleggiare» nelle correnti del Pd, con una profonda conoscenza dei meccanismi della politica e abilissimo nell'arte della mediazione. Ma in questo caso dovrebbe tentare la mission impossible di convincere Forza Italia a restare in maggioranza anche con un esponente del Pd come capo del governo. E per questo servirebbe tutta la «moral suasion» di Mattarella e Draghi sul partito di Berlusconi.

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