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Quirinale, "temono Berlusconi". Spunta l'asse Conte-Letta per la corsa al Colle

Pietro De Leo
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Il blocco progressista prova ad afferrare il timone per la navigazione verso il Quirinale. Martedì abbiamo avuto l’uno-due tra Enrico Letta e Giuseppe Conte. Quest’ultimo aveva prospettato l’ipotesi di una “iniziativa comune per il Quirinale”, raccolta subito dal segretario Pd che aveva definito “importanti” le parole del leader pentastellato. Ieri abbiamo assistito ad un altro capitolo della saga.

Il numero uno dem ha provato a tracciare i requisiti del prossimo inquilino del Quirinale. “Rivedendo i 12 presidenti eletti in passato viene fuori che non c’è mai stato nessun leader o capo politico. E non è un caso. Questo ruolo richiede una figura di spiccata sensibilità delle istituzioni. Questo non sarà banale nella scelta”. E ancora “dobbiamo continuare con presidenti istituzionali, consensuali, in grado di rappresentare tutto il Parlamento”.

Una ricostruzione storica, peraltro, che si presta ad una doppia lettura. Se si considera il parametro lettiano come leader in carica al momento della salita al Quirinale, ha ragione. Ma se invece la si legge in senso assoluto, allora no. Basti considerare, per esempio, Giuseppe Saragat, che anni prima dell’elezione al Colle era stato segretario del Partito Socialdemocratico Italiano. Oppure Giorgio Napolitano, che certamente quando fu eletto aveva esaurito da tempo l’esperienza nel Partito Comunista (anche perché era stato sciolto), ma comunque nel suo curriculum politico ebbe la leadership della corrente migliorista. Dunque, l’anatema contro le figure “di parte” non ha molto senso. Ancor più considerando il percorso di leader moderato e dialogante che Berlusconi, anche nelle fasi più conflittuali del governo Conte 2, ha sempre mantenuto. La ragione, evidente, è che allo stato attuale delle cose, per il Pd butta male

. I numeri in Parlamento sono dalla parte del centrodestra, la liquidità del quadro politico apre a qualsiasi ipotesi dalla quarta votazione in poi. Così come il ripetuto no di Sergio Mattarella (in questo momento granitico) a qualsiasi ipotesi di nuovo mandato ha mandato in panico la sponda sinistra del quadro politico. Alle parole di Enrico Letta si è contrapposto il coordinatore nazionale di Forza Italia  Antonio Tajani, a Rainews 24: “Berlusconi non ha mai affermato di volersi candidare al Quirinale”, ha detto. “Siamo noi che glielo abbiamo proposto, perché è l’uomo più adatto con Mario Draghi per dare prestigio e forza al nostro Paese, a livello nazionale ed internazionale”.

Parole che non collidono con il fatto che tutti i leader del centrodestra, da Salvini a Giorgia Meloni fino ai centristi, hanno rivendicato la proposta del fondatore di Forza Italia. Ma anzi sottolineano il momento di cautela. Confermato anche dalle scelte d’agenda del diretto interessato. Ieri ha annullato la partecipazione alla presentazione del libro di Bruno Vespa, che avrebbe dovuto svolgersi in presenza. Ma ha inviato un messaggio scritto alla presentazione di un altro libro, quello del deputato Gianfranco Rotondi.

E Berlusconi ha invocato il ritorno al bipolarismo dopo la fine dell’esperienza Draghi. “Più maturo”, rispetto al passato, però. Ossia un assetto in cui non si muovano più guerre termonucleari verso l’avversario, come invece è avvenuto dal 1994 ad oggi. Un refrain, anche questo, negli ultimi giorni ricorrente. Silvio da Grande Nemico a Pacificatore. Se non è un segnale, questo…

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