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I governatori corrono da soli, perché diventano tutti indipendenti

Arnaldo Magro
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Ancora non lo sapevamo. Perché quel 23 aprile 1995 eravamo troppo presi dal derby Roma-Lazio. Finì due a zero con un rigore di Beppesignori, a dischiudere definitivamente le ali della vittoria ai biancolesti. In pochi si erano accorti che quel giorno le elezioni regionali che riguardavano tutte e 15 le Regioni a statuto ordinario, avevano segnato la nascita di un nuovo commensale al tavolo della politica italiana: i governatori. Come se fossimo nella Spagna del Cid o nel Messico di Pancho Villa ed Emiliano Zapata. I presidenti di giunta regionale erano diventati governatori nel linguaggio comune perché eletti direttamente dai cittadini. In quel 1995 furono eletti Roberto Formigoni in Lombardia, Pier Luigi Bersani in Emilia Romagna, Antonio Rastrelli in Campania, Gian Carlo Galan in Veneto. Tutti politici già conosciuti o che comunque scaleranno dal loro territorio i vertici della politica nazionale. Una tendenza che sarà confermata negli anni successivi: Antonio Bassolino, Francesco Storace, Raffaele Fitto, Niki Vendola, ricopriranno la carica di presidente di Regione.

Oggi in tempo di pandemia, i governatori sembrano aver invece assunto, un ruolo disgiunto dal partito. Un incarico che perseguono quasi in autonomia. Quasi fossero degli indipendenti. Quanto De Luca non condivida l’operato del Pd ne è un plastico esempio. Bassolino, Formigoni, Del Turco avevano alle spalle partiti o coalizioni strutturati. Qui sembra esser cambiato molto. Sembra emergere anzi, un certo disprezzo tardo-grillino per la politica tradizionale. Aridatece i presidenti di giunta!

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