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Mario Draghi un pensierino al Quirinale l'aveva fatto. Ecco perché ci resterà male

Arnaldo Magro
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Il «corridoio dei passi perduti» è una definizione che ricorda scenari mistici. C’è addirittura chi vi intravede riferimenti massonici. Sta di fatto, che riapre finalmente. Dopo seicento giorni o giù di lì, di chiusura a causa Covid. Quel corridoio lussuoso che per via del soffitto richiamante le grandi navi comunemente prende poi il nome di Transatlantico. Quel luogo rappresenta a Montecitorio una infinita serie di aneddoti. Su quei divani in pelle bordeaux gran parte della storia italiana ha preso forma. Tra accordi e disaccordi clamorosi. Tra bruciature di sigarette e colpi di scena alla buvette, sempre in fondo a destra. 

 

La partita di Draghi
Riapre perché c’è un Presidente della Repubblica da nominare a breve, e perché la politica deve tornare a fare il suo mestiere. Dialogare, mediare, accordarsi. Talvolta pure mentire. Perché il successore di Mattarella non potrà essere con ogni probabilità Mario Draghi come invece da lui auspicato. Perché se proroga dello stato d’emergenza fosse, inchioderebbe di fatto il premier fino al 2023. Potrebbe mai l’ex capo Bce, con il Pnrr ancora da gestire ed in piena emergenza, mollare il Paese? Certo che no. Berlusconi l’ha detto a chiare lettere: «Che resti ancora a Chigi e finisca il lavoro, il poi si vedrà».

 

Eppure Mario Draghi in cuor suo ci ha sperato all’inizio. L’idea di salire al Quirinale lo gratificava. Sarebbe stato il coronamento di una carriera esemplare. Per questo, si dice, ha accettato le pressioni di Mattarella per l’incarico più duro, quello di premier. Ma la politica è un mondo super partes, si sa. Che ha bisogno di accreditamento tra pari. Bisogna essere parte di quel mondo per capirne i segreti. Allora, doveva pur sempre guadagnarsela, quella salita. Non basta che tutti nel mondo ti chiamino «Supermario». Doveva «sporcarsi le mani». Ora invece gli scenari sono cambiati. La pandemia non è finita e le cose da fare sono ancora tante.

 

Che fastidio questi partiti
Qualche giorno fa l’entourage di Draghi fece trapelare una sorta di fastidio del premier nei confronti dei partiti. Complessa sarà la gestione durante il semestre bianco. Averci a che fare tutti i giorni è dura anche per lui ed il calo nei consensi pubblici, per la prima volta in dieci mesi, lo indispettisce non poco. Comincia a pensare che non tutto sia poi così facile. Che con questi professionisti della politica bisogna stare all’erta. Perché la politica vive di accreditamento, poco importa da dove arrivi. 
 

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