retroscena

C'è da giocare la partita del Colle. Retroscena Quirinale, quanto pesano i voti del centrodestra

Riccardo Mazzoni

Anche se – copyright Salvini – dopo i ballottaggi il centrodestra ha più sindaci rispetto a quindici giorni fa, una riflessione sull’esito di queste amministrative i vertici del centrodestra dovranno farla, e molto approfondita, perché è inutile girarci intorno: qualcosa, anzi molto, è andato storto, sia nella selezione della classe dirigente locale che nella scelta tardiva dei candidati nelle città simbolo. Certo, fa riflettere la sfasatura tra i sondaggi nazionali che registrano un costante vantaggio rispetto alle sinistre – peraltro confermato ieri dal sondaggio settimanale di “La 7” - e un responso elettorale di medio termine che sembra invece prefigurare una risacca “progressista” che ha coinvolto anche una quota di comuni medio-piccoli.

 

  

L’errore più grosso sarebbe cullarsi sul precedente del ’93, quando la sinistra a guida Pds stravinse nei comuni e un anno dopo vide annientata la gioiosa macchina da guerra di Occhetto. In mezzo, allora, c’era stata la discesa in campo di Berlusconi a sconvolgere il quadro, un evento imprevisto e irripetibile, anche se oggi in effetti un altro alieno è caduto sulla politica italiana, ma si chiama Draghi ed è un convitato di pietra che non porta acqua ai mulini politici. Né sarebbe utile riscaldarsi al pallido sole dell’astensione che al secondo turno premia sempre la sinistra “perché i nostri non vanno a votare”: non era proprio la mobilitazione delle periferie romane l’arma su cui, ad esempio, puntava Michetti per ribaltare i pronostici?

 

Se un partito o una coalizione non riescono a motivare il proprio elettorato, la colpa non è certo degli elettori, soprattutto ora che gli italiani sono reduci da una pandemia disastrosa, e sono alle prese con un autunno difficilissimo, con la strage delle partite Iva tutt’altro che arginata e lo spettro, per le famiglie più povere, di un inverno senza riscaldamento. Il conto del Covid resta pesantissimo sulle spalle di milioni di italiani, e in particolare del ceto medio produttivo, impoverito da dieci anni di crisi, che per ripartire pretende giustamente una bussola certa, che il centrodestra in questi mesi non è riuscito a offrire. L’immagine unitaria che Salvini, Meloni e Tajani si sono affannati a presentare come tante photo opportunity, con la benedizione di Berlusconi, ha avuto troppo spesso il suono di una moneta falsa. Il mantra secondo cui “non sarà un green pass a dividere il centrodestra” è stato infatti recepito come una contraddizione in termini, visto che da mesi nell’immaginario collettivo è il simbolo e la faglia principale della contrapposizione politica e sociale.

 

Ma le posizioni diversificate sull’uso del certificato verde sono solo l’ultima evidenza di uno stato febbrile che perdura dall’inizio di una legislatura che ha visto il centrodestra giocare troppo disinvoltamente a Risiko dividendosi tra maggioranza e opposizione. Non solo: ci si è accapigliati sul Copasir e sul cda della Rai, ma anche sul Mes e sui rapporti con l’Europa, e dal punto di vista della proiezione mediatica c’è stato un perenne, quotidiano ballottaggio tra Salvini e Meloni sulla leadership della coalizione e sulla conseguente candidatura a Palazzo Chigi. Mentre la Lega disputa ogni giorno l’estenuante derby tra governisti e movimentisti, con un capo indiscusso ma commissariato da una sorta di congresso permanente. Una babele che somiglia molto più a un cartello elettorale che sfiora il 50% ma stenta ancora a presentarsi come un’alleanza pronta per governare il Paese, mancando di una linea davvero unitaria e di un federatore capace di tenere insieme anime diverse ma che hanno, vivaddio, una sensibilità comune su molti fondamentali, a partire da fisco e giustizia.

 

Ecco: queste amministrative dovrebbero essere messe a frutto come la prova generale degli errori da non ripetere, ripartendo da alcuni punti fermi: la grande maggioranza degli italiani vuole sbarazzarsi del Covid in modo definitivo, ed è pronta a pagare un prezzo in termini di libertà e di rischio vaccinale; con il ridimensionamento grillino, il sistema si sta di nuovo indirizzando verso il bipolarismo, e questo darà un vantaggio competitivo al centrodestra, visto che il Pd di Letta si sta sempre più spostando verso una deriva identitaria e massimalista, molto lontana dalle esigenze del Paese reale e incapace di presentarsi come un’alternativa credibile per il dopo Draghi.

Nulla quindi è perduto, anzi: ma bisogna serrare le fila da subito, perché la macchina della delegittimazione nei confronti della destra sovranista è in pieno movimento, con il tentativo neppure troppo nascosto di staccare Forza Italia dall’alleanza. Un errore che Berlusconi non commetterà, ma intanto è un dato di fatto che i due successi più importanti li ha ottenuti Forza Italia con Occhiuto in Calabria e Di Piazza a Trieste, e questo è un segnale. Il calendario non concede tregue, e incombe già la partita del Quirinale, il cui esito sarà cruciale per definire le dinamiche politiche dei prossimi anni, compresa la gestione dei fondi europei. Ci vorrebbero testa e sangue freddo, perché in Parlamento il centrodestra dispone del pacchetto di numeri più consistente, e portare a casa il risultato sarebbe non solo una svolta storica per la seconda Repubblica, ma anche la miglior rivincita per mettere un suggello positivo a questa legislatura nata male e che bisogna assolutamente evitare finisca peggio.