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L'ipocrisia della sinistra. Violare le regole del voto significa offendere la democrazia

Francesco Storace
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«Prende ora la parola il segretario della Lega, Matteo Salvini». Oppure: «Adesso ascoltiamo l’intervento di solidarietà della Presidente di Fdi, Giorgia Meloni». Ditelo voi, come reagirebbe piazza San Giovanni? Rose e fiori? Applausi o fischi a gogò? Sta in questo affresco nemmeno troppo romanzato il clamoroso abbaglio contro la democrazia. Già, perché la democrazia è messa alla prova anche dal voto degli elettori. E si dà il caso che domenica si voti a Roma e in altre città e Cgil, Cisl e Uil convochino per 24 ore prima - nel giorno del silenzio elettorale - la loro manifestazione «contro i fascismi». In particolare, la Cgil di Landini ha mille ragioni per protestare dopo quello che ha subito, ma nessuno è autorizzato a ignorare la legge.

 

Quale manifestazione unitaria - politicamente - ci si può attendere in quella piazza? Il centrodestra, che a chiacchiere Enrico Letta vorrebbe lì, dovrebbe andare a raccogliere fischi?

Ci sono mille storie di violenze contro la destra, politica e sindacale, che non trovano mai eco sui media. Se sabato l’Ugl organizzasse una manifestazione «contro i comunismi» potrebbe svolgerla o la Lamorgese ordinerebbe di accompagnarne i dirigenti a fare compagnia in cella con gli arrestati di Forza Nuova?

 

A Roma, chi è che deve far rispettare la legge? Immaginiamo chi non ha capito quello che stava succedendo sabato scorso, lasciando deserta la sede della Cgil e mandando allo sbando i poliziotti di servizio. Signor questore, glielo notifica lei ai dirigenti sindacali che il sabato della vigilia elettorale non si possono svolgere manifestazioni?

Perché non la si organizza il giorno dopo le elezioni o il sabato successivo quella manifestazione? Che cosa cambia? Oppure si teme che «l’antifascismo durerà fino al ballottaggio», come nota con sapiente perfidia Daniele Capezzone?

 

Quando il raduno è stato deciso, probabilmente non ci si pensava alla coincidenza con la giornata di silenzio elettorale per legge. Ma poi sì, ci dovevano riflettere sopra gli organizzatori. Non si possono mettere in fila dirigenti politici e sindacali, eppure quello sembra lo scopo. Altrimenti, perché Letta chiede ai partiti di andare alla manifestazione? Li invita a portare solidarietà senza parlare? Solo a beneficio delle telecamere?

Propone Salvini, a cui non sfugge l’importanza della solidarietà: «Scendiamo in piazza tutti insieme, un giorno dopo il voto e non un giorno prima, con il tricolore e senza altre bandiere (rosse), per condannare e isolare tutti i violenti, di ogni parte e colore. Il PD accoglie questa proposta unitaria o preferisce fare solo campagna elettorale?».

Idem la Meloni: «Se la violenza è sempre da condannare e combattere ci aspettiamo che la sinistra accolga la nostra proposta di una manifestazione comune, non nel giorno di silenzio elettorale».

Lo stesso trapela da Forza Italia, che non individua - tranne qualche solito bastian contrario - come una cosa seria la manifestazione nel sabato di silenzio elettorale.

C’è una legge, la 212 del 4 aprile 1956, che all’articolo 9, prescrive che nel giorno precedente e in quelli stabiliti per la votazione sono vietati comizi, riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta in luoghi pubblici o aperti al pubblico ed affissione di stampati, giornali murali o altri manifesti di propaganda.

 

E questo perché il cittadino ha diritto alla cosiddetta riflessione della vigilia in tranquillità. Una piazza enorme è indubbiamente diversa dai social, che tutti utilizzano. Sui social non ci vuole autorizzazione, sulla piazza ci sono regole da osservare.

Pensare di poter manifestare a prescindere dalle norme significa disprezzare le regole e gli stessi elettori che devono poter esprimere il loro voto senza condizionamenti di piazza e relativi telegiornali. La democrazia si viola anche così. 
 

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