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Contro FdI si sono mossi per provocare reati, i penalisti bacchettano La7 e Fanpage

Francesco Storace
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La prima «sentenza» sul caso Fanpage-Fidanza la emette l’osservatorio sull’informazione giudiziaria delle Camere penali, l’associazione che rappresenta i penalisti italiani: sotto accusa va messo semmai un presunto giornalismo d’inchiesta che punta a provocare reati, senza peraltro riuscire nel suo intento. Un’operazione utile solo a fini propagandistici, non a caso in piena campagna elettorale, per mettere in cattiva luce una comunità politica.

Quello che ha combinato Fanpage contro Carlo Fidanza, capogruppo di Fdi al Parlamento europeo, va oltre ogni immaginazione. Si è data l’idea di un partito estremista e incline a sollecitare contributi in nero. Il sospetto è invece che si sia tentato di costruire quell’immagine senza nulla di concreto, se non battute isolate dal contesto in cui sono state estrapolate. E su questo si è costruito un vero e proprio cinema per colpire l’avversario politico, perché questa è stata l’operazione che si è voluto mettere in scena. Tantissima sensibilità per chi si becca 13 anni di condanna - come abbiamo visto ieri sera da Lilli Gruber con ospite l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano - nessuno scrupolo verso chi ha probabilmente esagerato solo nei toni goliardici.

Giornalisti che giocano a fare i carabinieri. Ma i carabinieri scoprono i reati e non li provocano. E comunque - nel caso di quelli che vengono chiamati proprio «agenti provocatori» – lo fanno seguendo precise regole indicate dalle norme vigenti. Perché proprio la legge fissa dei limiti che non possono mai essere valicati. Invece Fanpage - se è vero quello che il sito ha ammesso - si è presa la briga di pedinare per ben tre anni singole persone per indurle in tentazione...

Dice infatti l’osservatorio delle Camere penali: «Questo non è giornalismo di inchiesta così come lo si vuol definire. È piuttosto il frutto di una vera e propria attività investigativa, sottratta a qualunque forma di controllo dell’Autorità Giudiziaria e alle regole che presidiano la genesi e lo sviluppo delle vicende processuali». Una vera e propria picconata al metodo con cui si tenta di spacciare per informazione quel che ci è stato propinato in tv. «Siamo giunti a un crocevia estremamente pericoloso - osservano i penalisti - nel quale le persone sono offerte in pasto all’opinione pubblica sulla base di informazioni raccolte nel corso di una vera e propria "indagine privata", che addirittura precede e "genera" la vicenda procedimentale propriamente intesa». Ovvero, andavano a caccia di reati che essi stessi provocavano.

Coerentemente alla presa di posizione delle Camere penali si muove la difesa di Fidanza, che ha diffidato La7, Fanpage e gli altri organi di informazione a procedere nell’ulteriore pubblicazione della cosiddetta «inchiesta». La Procura ha infatti sequestrato tutta la documentazione, che quindi ora è soggetta al segreto istruttorio. Perché se si vuole fare l’investigatore più che il giornalista bisogna anche conoscere quali sono le regole dell’ordinamento. E se quel materiale è sotto sequestro perché si parla di reati attribuiti a singole persone, che hanno tutto il diritti di sapere di che cosa dover rispondere.

Gli stessi annunci su «nuove puntate» dell’inchiesta sono stati fatti proprio dagli autori del cosiddetto servizio giornalistico ed è ovvio che la magistratura si sia mossa, visto che si parla di violazioni di leggi tutte da dimostrare. Stavolta a tutela di chi è sotto indagine per una trovata mediatica.

Al massimo, l’unico rischio che corre Fidanza è nel rapporto con Giorgia Meloni che ieri sera da Del Debbio ha tenuto a dire di pretendere atteggiamenti seri dai suoi dirigenti. Pur ribadendo che ha chiesto a La7 e a Fanpage di poter visionare le 100 ore di video realizzate. Senza alcuna risposta positiva, almeno per ora. Anzi, Corrado Formigli a Piazza Pulita ha insistito – con toni piuttosto accesi - e ha mandato in onda anche la seconda «puntata» dell’inchiesta di Fanpage. Fine pena (televisiva) mai...

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