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Silvio Berlusconi, "perizia psichiatrica anche su chi lo deve valutare". Par condicio Cav-giudici

Riccardo Mazzoni
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“Ma io non ci sto più e i pazzi siete voi”, è un passaggio di “Alice”, una delle più belle canzoni di De Gregori, e si attaglia perfettamente al moto di orgoglio con cui Berlusconi ha respinto al mittente l’incredibile decisione del Tribunale di Milano di sottoporlo a una perizia psichiatrica permanente, probabile preludio a una sentenza già scritta. Una lezione di civiltà giuridica che segna un abisso nei confronti della pubblica accusa e di chi è chiamato a giudicarlo per una vicenda che peraltro lo ha già visto pienamente assolto.

L’atto finale della guerra dei trent’anni, stavolta per fargli riporre le aspirazioni quirinalizie, non poteva essere più grottesco e cruento, ed è solo l’ultimo anello di un’escalation giudiziaria senza soluzione di continuità. Un campionario di uso politico della giustizia senza precedenti, dall’invito a comparire recapitato nel novembre del ’94 mentre in veste di premier presiedeva un vertice internazionale contro la criminalità organizzata per un’inchiesta poi finita nel nulla; al processo Mills in cui furono spostati surrettiziamente perfino i tempi della prescrizione per non far cadere l’accusa di corruzione. Oppure la furbizia tattica della Procura di Napoli, che aprì un'inchiesta “a tutela” di Berlusconi per metterlo in realtà nel frullatore mediatico e pubblicare, in modo palesemente illegale, intercettazioni private e senza alcuna rilevanza penale. O, ancora, la condanna in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio, a Milano, dopo la pubblicazione di un’intercettazione che fece rumore, quella in cui Fassino diceva a Consorte: "Abbiamo una banca?".

Non fu una strana nemesi se il principale bersaglio della fuga di notizie dalle procure, i cui responsabili non sono mai stati scoperti, venne punito per lo stesso reato? Fiumi d’inchiostro sono stati poi versati sulla sentenza della Cassazione per frode fiscale, le cui ombre ed anomalie sono state scoperchiate da Palamara. Basta così: per riassumere tutte le puntate precedenti non basterebbe un libro, e allora, dopo il pronunciamento “psichiatrico” dei giudici milanesi viene naturale rovesciare il discorso: perché non sottoporre a un test psicologico chi per professione ha tutti i giorni nelle sue mani la libertà dei cittadini? Non sarebbe una diminutio, semmai una maggiore garanzia di terzietà del giudice, e nemmeno una novità, perché in Francia, ad esempio, le prove d’ammissione alla magistratura prevedono da tempo lo svolgimento di un caso pratico alla presenza di uno psicologo che analizza le reazioni da parte del candidato, valutando come reagisce alle situazioni di stress, e altre verifiche simili vengono disposte anche durante la carriera effettiva dalla Scuola superiore della magistratura (in Germania vige un meccanismo ancora più severo).

Eppure, quando la ministra Bongiorno, due anni fa, propose anche per gli aspiranti magistrati italiani test psicoattitudinali funzionali a verificarne “la stabilità emotiva, l’empatia e il senso di responsabilità”, scattò il solito riflesso corporativo e la proposta finì nel cassetto. Stessa sorte era toccata al Guardasigilli Castelli molti anni prima, ai tempi del secondo governo Berlusconi, contro il quale intervenne in prima persona il presidente Ciampi, affermando in modo perentorio che “i cittadini hanno fiducia nei magistrati”, giudizio che dopo i recenti scandali oggi sarebbe probabilmente molto diverso. L’ultimo in ordine di tempo a ritenere necessaria la verifica psicoattitudinale è stato, a sorpresa, il ministro grillino Bonafede, la cui politica giudiziaria per il resto è stata totalmente prona al volere delle procure. Nel testo originario della sua riforma della giustizia, infatti, era previsto “il parere di uno psicologo di comprovata professionalità allo scopo di valutare il parametro dell’equilibrio del magistrato in funzione della sua valutazione di professionalità”. Ma per i pasdaran della casta togata questi test sarebbero un’offesa irricevibile, in nome di un potere che si sente ormai al di sopra di tutto.

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