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Primo sì alla riforma Cartabia. Decine di assenze tra i grillini, Giuseppe Conte si infuria

Nadia Pietrafitta
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La riforma Cartabia del processo penale, come da calendario dei lavori, arriva nell’aula della Camera alle due del pomeriggio di domenica 1 agosto. Negli stessi minuti in cui a Tokyo Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs scrivono la storia dello sport italiano, a Montecitorio l’iter del ddl delega parte in salita. Sin da subito, infatti, le opposizioni mettono in campo l’ostruzionismo annunciato. Diversi gli interventi sull’ordine dei lavori da parte di FdI e Alternativa c’è. Non mancano cartelli di protesta, cori e attacchi. Gli ex M5S, in particolare, puntano le dita, soprattutto, contro chi un tempo urlava insieme a loro «onestà-onestà». «Colleghi non vi fate spaventare dalla minaccia di espulsione, noi ci siamo già passati», attacca Andrea Colletti.  Alla fine le pregiudiziali di costituzionalità presentate dalle opposizioni vengono respinte con 48 voti favorevoli e 357 contrari. I tabulati registrano una prima defezione targata M5S con il deputato pentastellato Alessandro Melicchio che vota sì insieme a FdI e Alternativa c’è. Non solo.

 

 

Sono 41, infatti, i parlamentari grillini che non partecipano al voto e non mancano alcuni big: tra loro ci sono il capogruppo in commissione Giustizia Eugenio Saitta, l’ex sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi, l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro e l’ex ministra Giulia Grillo. La discussione generale va avanti per oltre quattro ore, tanto che il Governo è costretto ad aspettare la «seconda serata» per porre la questione di fiducia, che verrà votata - come da regolamento - dopo 24 ore, con l’obiettivo di arrivare domani all’ok finale al provvedimento. Gli occhi sono puntati sul M5S. Giuseppe Conte, alla vigilia del voto, riunisce deputati e senatori via zoom. Il leader in pectore del Movimento non ha gradito affatto le numerose assenze in aula e lo dice chiaro ai suoi. Non è il momento dei distinguo, i risultati si ottengono solo marciando compatti - è il ragionamento. L’ex premier, infatti, rivendica il lavoro svolto sulla riforma Cartabia: «Abbiamo ottenuto molto», esordisce, anche se «non tutto quello che avevamo chiesto. Ci siamo accorti subito di alcune criticità della riforma Cartabia. Erano insuperabili. Il testo così com’era non poteva essere approvato, ho fatto io stesso una grande interlocuzione con il presidente Draghi e gli altri». Conte smentisce di aver mai voluto «minare il Governo. Noi stiamo approvando la riforma Bonafede, la ministra Cartabia ha fatto solo alcune modifiche. Per tre quarti l’impianto normativo complessivo è targato Bonafede-Cinquestelle», dice provando a serrare le fila.

 

 

Ecco perché, argomenta, sul ddl delega non sarà necessaria una votazione degli iscritti (che invece da oggi saranno chiamati a esprimersi sullo statuto). «Non possiamo svolgere attività politica e di governo se ogni volta dobbiamo passare per il voto della rete», avrebbe argomentato l’ex premier. «La giustizia è la nostra battaglia, un voto non ti indebolirebbe. Anzi», la replica dell’ex ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli.  Le critiche non mancano. In particolare, gli eletti pentastellati lamentano l’assenza, dal testo firmato dalla Guardasigilli dei reati ambientali tra quelli su cui ricadrà la «tagliola» della prescrizione. O, come si chiamerà se il disegno di legge otterrà il via libera delle Camere, la «non procedibilità». La deputata Antonella Papiro spiega il perché propende per non votare il ddl, mentre si dice in forte difficoltà la parlamentare calabrese, Maria Elisabetta Barbuto, che nel suo curriculum scolastico vanta studi di giurisprudenza. A scandire «orgogliosamente» il suo sì, invece, anche l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede.

 

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